Caro direttore,
un fatto di cronaca nera domina la mia attenzione in questi giorni: nella rovente periferia milanese, una bambina di 18 mesi è stata abbandonata da chi l’ha partorita, sola in casa, con un biberon di latte, probabilmente drogato con benzodiazepine per evitare pianti e urla che avrebbero potuto attirare qualcuno. Dopo 6 giorni trascorsi con il suo nuovo compagno, la donna ha trovato la bambina morta di fame, sete e stenti, come del resto lei stessa si aspettava, ha dichiarato al pm che l’ha arrestata e interrogata.
L’accusa è di omicidio volontario, aggravato da futili motivi. La donna, infatti, avrebbe detto che la piccola era un peso, un ostacolo alla propria libertà. Non voluta (si sarebbe accorta della gravidanza al settimo mese, senza sapere chi era il padre), pur non avendola uccisa con un atto violento, l’ha lasciata “in una sorta di ipotetica sopravvivenza senza alcun futuro, per andarsene con il compagno”, ha osservato uno psicologo intervistato sul caso.
Non era meglio abortire?, mi è venuto spontaneo pensare. Riflettendoci, questo pensiero mi ha fatto inorridire: non è forse la prova che anche per me – o per chi ha pensato la stessa cosa – la bambina è in fondo un ostacolo, un particolare irritante, un incidente di percorso che non doveva succedere? Confesso di non essere preparato a tanto male! Una guerra, per quanto terribile e dettata da un potere egoista, può ancora avere delle pallide ragioni, ma un fatto del genere svuota ogni possibile ricerca di ogni possibile ragione euclidea, per dirla con Dostoevskij.
Ne I fratelli Karamazov, Ivan provoca Alëša su questo punto nevralgico: “Se anche i bambini su questa terra sono soggetti a sofferenze tremende, deve essere, necessariamente, a causa dei padri loro. Vengono puniti per i padri loro, che mangiarono il pomo. Ma vedi, questo è un ragionamento che non è di questo mondo: al cuore dell’uomo, qui sulla terra, riesce incomprensibile. Non è possibile che un innocente debba soffrire per le colpe di un altro: è di quali innocenti si tratta!”.
Ivan/Dostoevskij prosegue elencando numerosi fatti di cronaca nera del suo tempo, riguardo ai bambini, al pari della cronaca di oggi. Per parte mia, io posso solo unirmi al grido di Ivan: “Con la mia miserabile, terrestre intelligenza euclidea, io so, unicamente, che la sofferenza c’è, che colpevoli non esistono, che da una cosa deriva l’altra in linea retta, che tutto scorre via e viene a controbilanciarsi: ma questo, certamente, non è che vaneggiamento euclideo e vivere secondo esso è cosa a cui non posso, io, acconsentire! M’importa tanto che colpevoli non esistano e che sempre in linea retta cosa derivi da cosa e che tutto questo io lo sappia: quel che occorre a me è una sanzione suprema, altrimenti sarò costretto ad annichilirmi. E che sia una sanzione non già nell’infinito, indeterminata nel luogo e nel tempo, ma proprio qui, su questa terra e che la veda io con i miei occhi. Io ho avuto fede e voglio vedere con gli occhi miei: cosicché, se a quel tempo sarò morto, ebbene, che mi si faccia resuscitare: se infatti tutto si svolgesse senza che io fossi presente, sarebbe un’offesa troppo grossa. Io voglio vedere con gli occhi miei il cerbiatto giacere al fianco del leone e il trucidato alzarsi e abbracciare colui che l’ha ucciso. Io voglio trovarmi lì, quando tutti, d’improvviso, verranno a capire perché il mondo sia stato tale qual è. Ma ecco, da quest’altra parte, i piccoli bambini: che cosa farò di costoro allora? Questo è un problema che io non riesco a risolvere”.
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