Una bambina di tre anni è stata sottoposta forzatamente ad infibulazione mentre si trovava in vacanza in Africa con i genitori. La famiglia, originaria del Burkina Faso, è residente in Friuli-Venezia Giulia a San Vito al Tagliamento da molti anni. Dopo la denuncia la coppia è stata rinviata a processo con la grave accusa di concorso in mutilazione. L’orrore era stato scoperto da un pediatra, che durante una visita aveva accertato la grave mutilazione subìta dalla bambina, per questo i genitori erano stati denunciati e ora andranno a processo, con udienza fissata a maggio, per il reato di “mutilazione di genitali femminili” e con l’aggravante del fatto compiuto in ambito familiare.



La legge italiana punisce questo tipo di procedura, se non giustificata da gravi esigenze di tutela della salute, con la reclusione da tre a sette anni, in base all’articolo 583 del codice penale. La coppia si è difesa sostenendo di non saperne nulla e che l’infibulazione sarebbe stata fatta fare dalla nonna mentre la famiglia era tornata momentaneamente in Africa durante le vacanze.



Ancora troppe bambine costrette ad infibulazione, anche in Italia

Anche l’avvocato del padre della bimba di tre anni infibulata continua a sostenere l’innocenza di tutti e due i genitori, affermando che la mutilazione sarebbe stata compiuta dalla nonna all’insaputa di tutti. I due, però, sono stati rinviati a giudizio e dovranno provare nel corso del processo che la pratica di mutilazione non sia stata effettivamente fatta in modo consenziente. Infatti, orrori di questo tipo si verificano, purtroppo, ancora molto spesso, anche ai danni di bambine che risiedono in Italia.

Secondo alcuni dati pubblicati periodicamente dall’università Bicocca di Milano, ad oggi più di 88mila donne residenti in Italia, per la maggior parte minorenni, sono state fatte infibulare. La pratica di mutilazione viene considerata un rituale culturale soprattutto per le famiglie di origine africana e pakistana, con Nigeria, Senegal ed Egitto tra i principali Paesi di provenienza. L’infibulazione spesso viene effettuata direttamente in Italia e compiuta da persone di famiglia, come le nonne o medici delle comunità che effettuano interventi a pagamento. Fortunatamente, però, sono in crescita anche i numeri delle donne che si ribellano, e si rivolgono ad associazioni umanitarie per denunciare questo tipo di atrocità.