In poche ore Napoli è ritornata in prima pagina con il suo volto peggiore. Una bambina è stata quasi uccisa da un proiettile sparato in piazza Nazionale. Il colpo, partito da un gangster in azione in pieno giorno, l’ha raggiunta ad un polmone ed ora la piccola giace tra la vita e la morte in un lettino di ospedale. Lei ha avuto meno fortuna del bambino del Rione Villa di San Giovanni a Teduccio che meno di un mese fa ha assistito all’esecuzione del nonno che lo stava accompagnando a scuola. Tutti ricordano la foto del suo zainetto rosso, abbandonato nella fuga. Dalle indagini che hanno condotto, proprio l’altro giorno, all’arresto del probabile killer, è emerso che alcuni colpi erano stati sparati anche nella direzione del bambino. L’ordine di esecuzione riguardava quindi nonno, padre e nipotino. Piazza Nazionale è al centro del quartiere Vasto, chiuso tra il Centro Direzionale e piazza Garibaldi. Dopo la sua nomina a ministro degli Interni, Salvini è venuto proprio qui, accolto da una folla entusiasta che lo ha acclamato come l’uomo della provvidenza a cui affidare le ultime speranze di un quartiere allo stremo, degradato a livello di suk della città.
Il cardinale Sepe ha tuonato a difesa della sacralità del sangue dei bambini, che andrebbe rispettato come quello di San Gennaro e non versato per le strade. Il procuratore antimafia Cafiero De Raho ha evocato in un ardito confronto storico addirittura il Medioevo, per sottolineare il carattere violento della delinquenza diffusa in città e per denunciare come la politica non consideri la lotta alla camorra una priorità.
Ma i bambini sono stati protagonisti in questi mesi di altri drammatici episodi di cronaca. Picchiati dai genitori perché davano fastidio, feriti senza motivo, violentati in casa da orchi senza scrupoli. Sembra che nessuno si curi di loro.
Nel frattempo due manifestazioni sono state organizzate in città, per testare se esistono anche a Napoli forze in grado di combattere e organizzare una reazione democratica.
La prima si è tenuta sabato mattina, promossa con un appello dal titolo assai evocativo “Prima le persone”, con lo scopo dichiarato di emulare la straordinaria manifestazione di due mesi fa a Milano. L’appello è stato sottoscritto da quella che possiamo considerare l’élite napoletana, scossa dalle vicende di queste settimane e dal vuoto generale di iniziative. Ma, come capita spesso di questi tempi, anche da queste parti l’élite non gode di grande stima in città e alla fine si sono presentati – sotto una pioggia battente – solo un migliaio di irriducibili. La seconda manifestazione è andata in scena proprio in piazza Nazionale domenica mattina. Dietro uno striscione su cui era scritto “DisarmiAmo Napoli”, centinaia di persone commosse si sono mischiate con alcuni esponenti della sinistra napoletana e hanno cercato di dare voce ad un quartiere ferito e martoriato.
Il lato cruento e animalesco della violenza camorristica era nel frattempo ben raccontato proprio nel finale della quarta stagione di Gomorra, andato in onda quasi in contemporanea ai fatti di cronaca, venerdì sera. Genny Savastano, l’erede del boss di Scampia, prende atto che il suo tentativo di ripulirsi e di cambiare vita non ha speranze. Il suo destino, come in fondo è stato per suo padre, lo conduce inevitabilmente ad un regolamento di conti senza pietà – neanche per la leale Patrizia – e ad un probabile futuro di assoluta solitudine, da trascorrere in un bunker. Perché? “Per riprendersi tutto quello che è nostro”, dirà ancora una volta.
Si può discutere all’infinito se la Napoli che racconta Gomorra esista davvero o sia una finzione che danneggia l’immagine della città. C’è chi addirittura vede nella famosa e pluripremiata serie tv e nel fascino che emanano i suoi personaggi un evidente invito all’emulazione.
Proprio l’altro giorno un mio amico giunto con me a Napoli da Milano, osservando l’abbigliamento della folla in aeroporto, non si è trattenuto dal chiedermi se sono gli attori di Gomorra a vestirsi come i napoletani, o se è più vero il contrario, cioè se è stata la serie tv a penetrare così a fondo nel costume della città, da condizionarne anche la dimensione dello stile, soprattutto quello femminile. Gli ho risposto che non lo sapremo mai. Quello che è certo è che Gomorra non è solo la rappresentazione di una realtà immaginata. La storia è scritta da un gruppo di autori – tra cui come noto Roberto Saviano – che conosce profondamente la città e la sua storia criminale, ma volutamente esagera e la carica, con il chiaro intento di provocare, denunciare, polemizzare con chi nega tenacemente la stessa realtà delle cose.