Il tribunale di Bolzano ha emesso una sentenza in favore di quattro anziani per essere stati privati della gioia di diventare nonni. Come riferisce l’Agi, la seconda sezione civile del tribunale bolzanino, con queste motivazioni, ha condannato l’azienda sanitaria altoatesina a risarcire quattro nonni di una neonata morta nel 2007. Le due coppie dovranno ricevere 80.000 euro come risarcimento danni più altri 20mila circa (precisamente 19.573,83), per le spese legali sostenute in questi 14 anni di battaglia legale.



Secondo quanto stabilito dal giudice “la morte del feto sopraggiungeva allorquando la nascita era ormai prossima, venendo così frustrata una possibilità in un momento prossimo alla sua concretizzazione”. La sentenza era stata emessa ad agosto 2020 e in questi giorni ne è stata resta motivazione. La cifra di 20.000 euro per nonno, si legge ancora, “si avvicina all’importo minimo tabellare previsto per la lesione del rapporto parentale nonno/nipote. E’ stato tenuto conto della differenziazione tra perdita di chance e lesione di un rapporto parentale comunque già venuto ad esistenza”.



BIMBA MORI’ DURANTE PARTE, 4 NONNI RISARGITI CON 20.000 EURO A TESTA

A maggio del 2016 era terminato il processo penale nei confronti di un’ostetrica, poi i quattro nonni avevano agito anche nei confronti dell’azienda sanitaria, chiedendo un risarcimento danni. A dicembre del 2017 la stessa azienda aveva messo sul piatto 20.000 euro, 5.000 a persona, ma l’offerta era stata giudicata inadeguata, di conseguenza si era proceduto con la causa. Il decesso della piccola avvenne esattamente il 13 ottobre del 2007, nata da una madre di 28 anni alla sua prima gravidanza. La gestazione era proceduta nel migliore dei modi, ma il giorno del parto all’ospedale San Maurizio di Bolzano, qualcosa andò storto. La bimba nacque infatti già morta e dopo l’autopsia venne stabilito che “il decesso avvenne in concomitanza con il periodo espulsivo del travaglio a causa di uno stato di protratta sofferenza ipossica endouterina”. L’ostetrica non aveva però diagnosticato la sofferenza e di conseguenza venne condannata per “colpa professionale”.

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