Gentile direttore,
questa mattina il suo quotidiano ha pubblicato un articolo intitolato: “BIMBE TROVANO GENITORI IN OVERDOSE/ Il disastro di un abbraccio che non hanno avuto”. Fin da subito tra di noi, che con la nostra compianta collega abbiamo lavorato dallo scorso settembre e durante la didattica a distanza, è emerso uno sgomento ancor più profondo di quello che già sta accompagnando questi giorni di fatica, di domanda, di silenzio e di preghiera.



Abbiamo trovato francamente inopportuno e disdicevole che, di fronte a un’ipotesi avanzata dagli organi di stampa e non dagli inquirenti (i quali sulla vicenda hanno mantenuto finora il massimo riserbo), la lettura proposta parta dal presupposto che i due genitori fossero dei drogati. Il sindaco del paese ha mostrato probabilmente più umanità e meno urgenza di stigmatizzare la vita di un uomo e di una donna a lui sconosciuti quando ha dichiarato: “Prima di scrivere commenti mettetevi nei panni di un parente stretto della vittima e se il commento da voi pensato potrebbe infastidire evitate di scriverlo. Usate sensibilità. Grazie”.



È terribile per noi il pensiero che questo articolo, con questo titolo, sia ancora online, che stia probabilmente girando nelle chat di Whatsapp dei genitori della nostra scuola, magari sia condiviso con qualche studente del liceo come strumento educativo, di riflessione.

Perché non si tratta nemmeno di sottolineare la mancanza di prudenza nell’aspettare che fossero le indagini degli inquirenti a chiarire punti che rimangono oscuri. Si tratta soprattutto di restituire un’immagine di due persone costruita a tavolino. Non conoscevamo il compagno di Elena, ma avevamo avuto occasione di conoscere lei. E nessuno tra i colleghi del liceo e della scuola media, nessuno tra il personale scolastico, nessuno tra i genitori o i ragazzi ha mai dubitato un istante che lei fosse una brava donna. Anzi, quelli che nei pochi mesi di collaborazione in presenza hanno avuto la fortuna di lavorare con Elena a stretto contatto, testimoniano di una donna per cui le figlie erano il bene più prezioso. Ci siamo accorti di avere trovato un’insegnante apprezzata, stimata, autorevole agli occhi dei ragazzi. Un’insegnante che, all’atto di cominciare la sua avventura professionale con noi, aveva fatto una sola richiesta: “Per favore, potete evitare di mettermi alla prima ora, perché voglio accompagnare le mie figlie a scuola e non abito vicino”. E il vostro sommario recita: “il disastro di un abbraccio che non hanno mai avuto”. Ci colpisce il coraggio di chi in redazione ha pensato, scritto e approvato una frase del genere.



Ci si strazia il cuore al pensiero di quante persone, alcune delle quali avranno anche avuto a che fare con Elena in questi anni, si stiano formando un’idea su di lei, sul suo compagno e sulla sua famiglia, sul suo privato, filtrata da un articolo che presuppone indebitamente che i genitori di quelle due bimbe fossero dei drogati. Che si rivolge a loro come se il problema della loro vita ora, più avanti, possa essere la droga e non che papà e mamma non ci sono più. E ci sentiamo di dire che no, non è vero che: “non possiamo e non dobbiamo fermarci a questo”, all’avvenimento nudo e crudo. Invece è proprio l’avvenimento nudo e crudo, non le nostre elucubrazioni sociologiche su di esso, a dover dominare la scena. È la morte di un uomo e di una donna (entrambi ancora senza funerale), sono due bambine rimaste orfane. E di fronte a questo, silenzio e preghiera a Chi solo può donare pace alle vittime.

Per tutto il resto c’è tempo. Per le molte, condivisibili affermazioni del dott. Cattarina, che stimiamo massimamente conoscendone la vita di servizio e l’operosità, si poteva aspettare o informarsi un po’ di più.

Con il massimo rispetto,
Alga Locatelli, Mattia Savoia, Maria Cristina Colombo, Paola Balducci, Letizia Vanin