Edith Bruck, scrittrice e poetessa, ma anche suo malgrado testimone degli orrori della Shoah, che ha vissuto sulla sua pelle assieme alla madre, con la quel fu deportata dall’Ungheria prima a Dachau e poi ad Auschwitz, sulle pagine di Repubblica ha parlato degli attuali orrori della guerra tra Israele ed Hamas. Recentemente, infatti, è emerso come quest’ultimo nei kibbutz di Kfar Aza abbia ucciso, tra gli altri, anche una quarantina di bambini e neonati, ritrovati dall’esercito israeliano.



Secondo Edith Bruck ci sono pochi dubbi sul fatto che questo sia un tipico esempio di pogrom, “io lo so perché ci sono finita come la mia famiglia”. Ricorda anche come quando arrivò per la prima volta in un campo di concentramento vide un nazista vero e proprio, differente da quelli ungheresi che l’avevano arrestata, che sulla “fibbia lucida” portava la scritta, in tedesco, “Dio è con noi”. Anche Hamas, spiega, “hanno ucciso urlando Allah Akbar. Hanno ucciso ridendo, in nome di Dio“, una circostanza assurda, sulla quale Edith Bruck ricorda che anche sua madre, “ebrea credente che parlava con Dio tutti i giorni”, non riusciva a capacitarsi.



Edith Bruck: “A Dachau ho visto i nazisti giocare a calcio con le teste dei bambini”

Insomma, secondo Edith Bruck il parallelismo tra lo sterminio dei bambini compiuto da Hamas e quanto accadeva quotidianamente, ma su larghissima scala, nei campi di concentramento è tristemente evidente. “Ho visto molte cose orribili”, ricorda, “ho visto i soldati giocare a calcio con la testa di un bambini, a Dachau. E ad Auschwitz ho visto per terra centinaia di bambini congelati, buttati lì. Centinaia di pacchettini, che poi scongelavano per fare i loro esperimenti”.

Fondamentale, secondo Edith Bruck, tanto per lo sterminio degli ebrei, quanto per quello che sta facendo Hamas, è la memoria e si dice “molto fiduciosa dei giovani, che ascoltano e capiscono e mi ripagano della fatica che faccio nel ricordare”. Ed in merito alla sua esperienza conferma, tristemente, come rimani “segnato per tutta la vita. È un vissuto che non guarisce mai, perché non si guarisce da quelle esperienze. Il pogrom… penso a quei duecento giovani che stavano ballando in quella festa, e sono stati uccidi sul posto, o rapiti. Se non è nazismo”, si chiede Edith Bruck, “cos’è?”.