La nascita di un bimbo nella notte di Natale, ad Ariano Irpino, è apparsa straordinaria. Tanto da diventare una notizia. Non era scontata quella nascita che si è rivelata come un dono particolare e prezioso, custodito e portato alla luce da una madre che ha deciso di affidare il bambino ad altre braccia, di non riconoscerlo come figlio proprio. Il fatto che il parto sia avvenuto proprio nella notte del 25 dicembre, ha ammantato di poesia l’evento, gli ha dato il sapore di una fiaba natalizia. E un motivo in più per far conoscere una vicenda reale e concretissima, certamente impastata di attese e di ansie, forse di tante incertezze e di promesse, di limiti e di prospettive.
Si è risvegliato un mondo attorno al bimbo che ha suscitato grande tenerezza, una gara di solidarietà fin dai primi momenti di accudimento e l’immediata accoglienza di due giovani genitori senza figli che lo hanno adottato realizzando il loro sogno. Ma la notizia a lieto fine è soprattutto un’occasione per mettere a fuoco la storia di una maternità, dell’essere madre con tutta la libertà e il sacrificio necessari a una donna che sa, o forse intuisce, che la creatura che porta in grembo è “altro” da sé stessa e dal proprio corpo e che, pur nella sua muta inconsapevolezza, chiede di esistere.
Il bimbo nato ad Ariano Irpino, vien da pensare sia stato riconosciuto e amato ben oltre i pensieri bui facili da immaginare insieme a tante angosce, al peso di una responsabilità che si avverte insostenibile per mille motivi. Non sembra il caso di romanzare questa storia che esige silenzio e segretezza e, pur senza dettagli e spiegazioni, evidenzia un amore certo, umile e tenace. Se ne intuisce il sacrificio, la lacerazione di un distacco, il riconoscimento di un bene che va ben oltre le proprie forze, oltre la contingenza drammatica. Siamo abituati a una versione diversa della libertà femminile spesso gridata in slogan che assolutizzano l’autodeterminazione e il dominio sul proprio corpo, che vantano un indiscutibile possesso del figlio fino al rinnegamento e alla soppressione del concepito. E siamo talmente assuefatti a questa mistificante rappresentazione che una cronaca diversa che pure riesce a scaldare il cuore e a risvegliare tanti buoni sentimenti, rischia di fermarsi alla reazione emotiva senza suggerire l’urgenza di un ravvedimento rispetto al comune sentire. E senza misurarsi realmente con la mentalità prevalente che percepisce l’aborto come una scelta libera, garantita come diritto incontrovertibile: oggi appare fuori luogo, irrealistico e persino lesivo dell’altrui libertà, sollevare dubbi o interrogativi su una pratica banalizzata che di fatto rappresenta la condanna a morte di un essere umano totalmente inerme.
Eppure il parto di una mamma che nella consapevolezza di non poter esprimere a pieno la propria maternità ha scelto di far nascere il bambino e di “abbandonarlo” in mani sicure affidando ad altri il suo futuro, sembra indicare una vera svolta, provocare il sussulto di un desiderio misconosciuto e sepolto, il desiderio di una libertà più profonda e corrispondente alla vera attesa del cuore. E potrebbe far aprire gli occhi su un mondo oggi sommerso da un pensiero unico e pervasivo che sembra offuscare anche la possibilità di attingere informazioni corrette: esiste una legge approvata venti anni fa (Dpr 396/2000, articolo 30) che garantisce l’accompagnamento e l’assistenza al parto “in anonimato” prevedendo un percorso di adozione per il neonato (“nato da donna che non consente di essere nominata”). È una legge in vigore da ben due decenni, ma quanti la conoscono e quante donne se ne avvalgono trovando in essa un sostegno utile a rafforzare la consapevolezza di una decisione libera in un momento particolarmente drammatico?
A quanto sembra, raccogliendo spaccati di vita e dialoghi intercettati fra gli operatori di ambulatori e consultori, le scelte più decisive, come può essere la pratica di un aborto, avvengono spesso sulla spinta dell’emotività, nel solco di idee e sentimenti che impregnano il clima circostante. La ricerca di un’alternativa all’interruzione di gravidanza presume una domanda, una vera inquietudine, che riguarda l’esistenza di un essere umano e il suo destino. Ma spesso quella domanda resta inabissata, sommersa dal frastuono di una mistificazione dell’aborto quale liberante e intoccabile conquista. “Come potrei abbandonare il mio bambino, dopo averlo partorito?” Sembra essere la reazione di tante giovani raggiunte dalla proposta di un percorso alternativo all’aborto. “No, non se ne parla, sarebbe una tortura”.
Già, davvero inconcepibile. Inconcepibile come un amore che non teme il sacrificio pur di affermare la vita di un altro, farlo esistere, aprirgli un futuro.