Il 27 gennaio scorso la piccola cittadina di Cardito rimase sconvolta per la morte del piccolo Giuseppe Dorice, il bimbo ucciso a botte dal patrigno compagno della mamma: per quell’indegno fatto, la Polizia ha arrestato tanto il patrigno Tony Essobti Badre e la madre del piccolo ucciso, Valentina Casa, entrambi ora a processo. Secondo i magistrati della Procura di Napoli, la donna sarebbe rimasta «inerte mentre il compagno colpiva con efferata violenza i suoi figli, non interveniva a fermare la furia omicida del compagno, non invocava l’aiuto dei vicini, non contattava i servizi di emergenza delle forze dell’ordine». Da questa mattina però vi è una doppia testimonianza che si aggiunge alle già terribili versioni dei fatti riportate dagli inquirenti: la sorellina del piccolo Giuseppe e il poliziotto che ha visto per la prima volta la piccola il giorno dopo la morte del fratellino, ricoverata in ospedale per il tentato omicidio di cui è accusato sempre il patrigno. «Dovete portate in prigione mio padre, la sera beve la birra e ci picchia, e mamma deve chiamare i carabinieri», ha raccontato la sorellina ad un altro poliziotto che ha parlato con lei mentre disegnava nel reparto del Santobono di Napoli con il volto semi-sfigurato.
LA TESTIMONIANZA CHOC SULLA TRAGEDIA DI CARDITO
È stata ricoverata con intervento urgente di ricostruzione dell’orecchio trovato parzialmente staccato dopo le botte feroci del patrigno: il dramma di Cardito è stato così raccontato tanto dalla piccola sorella quanto dal poliziotto che l’ha “visitata” per la prima volta. «Una scena raccapricciante, la bimba era totalmente sfigurata dalle botte, aveva lividi dappertutto e faceva fatica anche a vedere, aveva gli occhi gonfi e per guardare doveva aprirsi le palpebre con le manine», spiega l’agente ancora shoccato a quasi un anno dai fatti di Cardito. Al processo di Napoli Badre è accusato dell’omicidio di Giuseppe, il tentato omicidio della sorellina e i maltrattamenti, mentre di comportamento omissivo è invece accusata Valentina: le testimonianze riportate saranno certamente cruciali per definire il prosieguo del processo di primo grado, assieme a quella fornita da una vicina di casa del piccolo Giuseppe «Mi sembrava un mostro, era irriconoscibile. Non pensavo che una persona potesse arrivare a tanto. Quando ho visto la bambina ho pensato a mio figlio che ha otto anni. Aveva i capelli strappati, dietro la nuca, l’ho vista per pochi istanti ma fa male ricordare».