Il comparto delle criptovalute vive giorni di fibrillazione e, tra poche ore, nella giornata di venerdì, la tensione potrebbe aumentare a seguito dell’udienza che si terrà a New York e vedrà coinvolta la “valuta” Tether e la sua presunta commistione con Bitfinex. In caso di verdetto sfavorevole, i molti osservatori ritengono ci possa essere una potenziale ripercussione sull’intero comparto crypto con serie implicazioni sulla credibilità di questo innovativo “mondo finanziario”. 



Tale preoccupazione, negli ultimi giorni, viene utilizzata da tutti coloro che commentano il recente ritracciamento avvenuto sulla principale valuta virtuale (il Bitcoin) che dai massimi raggiunti a oltre 41.500 dollari vede gli attuali scambi in prossimità di quota 34.500 dollari. Se il timore della giustizia ha provocato o provocherà tutto questo non è ovviamente certo, ma, di sicuro, gli utilizzatori (non investitori) delle varie valute virtuali stanno vivendo giornate di forte inaspettata apprensione: non più tardi di quarantott’ore fa, la Financial Conduct Authority (Fca) ovvero la Consob inglese, ha comunicato come coloro che impiegano il loro capitale in criptovalute devono mettere in conto la possibilità di poter «perdere tutti i loro soldi». Dal punto di vista meramente quantitativo nulla da eccepire, viceversa, la tempistica nella diffusione di questo monito potrebbe far pensare (male) i molti sostenitori della nuova tecnologia valutaria.



Come avrete constatato, chi scrive, stenta a definire o affiancare il Bitcoin, i suoi simili o assimilabili, al pari di una moneta. Per essere tali sono obbligatori requisiti oggettivi e non solo virtuali: prima fra tutti un’eventuale banca centrale che regoli gli scambi e soprattutto sia garante di trasparenza. Al momento questi embrionali elementi non sono presenti e pertanto la sussistenza dell'”essere una moneta” viene – inevitabilmente – meno. È pur vero, e non si può nascondere, l’appeal di questa realtà e del suo attuale mercato: raffrontando i prezzi raggiunti in corrispondenza dei recenti valori massimi, la capitalizzazione complessiva aveva raggiunto il clamoroso trilione (1.000 miliardi di dollari). 



Anche dal punto di vista comunicativo fare “crypto” ha una grande narrativa tra i suoi utilizzatori. Basta consultare le molte rassegne stampa nazionali ed estere per poter assistere a una divulgazione (senza pari) a favore della sua principale valuta: il Bitcoin e quasi null’altro. Un caso su tutti: nel 2020, le performance registrate dall’intero basket monetario sono state senza precedenti, ma solo in pochi hanno sottolineato come Ethereum (la seconda valuta per capitalizzazione) abbia primeggiato nei confronti del primario Bitcoin: la prima è passata da 128 dollari (dicembre 2019) a 752 (dicembre 2020) mentre la seconda dai 7.183 dollari di inizio anno 2020 ai recenti 28.970 dollari.

Le considerazioni sulla validità e fruibilità in ottica futura sono innumerevoli. L’intero progetto – sicuramente – catalizzerà investimenti bnel corso dei prossimi anni, ma ora il vero e unico problema da risolvere è semplicemente uno: regolarizzare (tutto) al più presto. Di questo avviso sono tutti concordi e, non può essere un caso la dichiarazione di poche ore fa rilasciata a Reuters Next dalla presidente della Bce Christine Lagarde: «Occorre concordare a livello globale una regolamentazione delle criptovalute e suonando una nota di allarme sull’estrema volatilità del bitcoin: un asset “altamente speculativo” e nel quale “l’utilizzo per attività di riciclaggio è considerevole”» (fonte Ansa).

Preferiamo rimanere con i piedi per terra e, nell’attesa di un’auspicabile normativa, vogliamo ricordare la considerazione dell’allora governatore Mario Draghi: «Un euro oggi, è un euro domani. Il suo valore è stabile. Il valore del Bitcoin oscilla enormemente».