Il confronto tra oro e Bitcoin è visualizzato dalle dinamiche di valore dei due assets in oggetto, soprattutto da agosto 2020 in avanti. A livello appariscente, da tale momento, l’oro dopo aver toccato il 7 agosto 2020 il massimo nominale di sempre, cioè 2.070 dollari circa all’oncia, ha iniziato di fatto un trend ribassista descritto da saliscendi continui. Al contrario, Bitcoin dai valori di marzo 2020, pari a 4.000 dollari circa, è giunto qualche giorno fa a valori intorno ai 58.000 dollari; soprattutto dopo ottobre 2020, dove era giunto a circa 12.000 dollari, ha intrapreso un cammino verso l’alto, non solo esplosivo, ma sconosciuto – per dimensioni – alle trattative finanziarie della moderna società occidentale (a dirsi cioè dal 1800 in avanti).



L’ampiezza dei valori di Bitcoin non è mai stata osservata sui mercati regolamentati; valori simili a quelli dei Bitcoin si sono potuti avere solo sui mercati neri, della droga, in tempo di guerra, in mercati a connotazione schiavistica. Ad esempio, presso la società incaica (prima dell’arrivo dei Conquistadores) solo l’imperatore (l’Inca) poteva possedere l’oro, e ciò implicava di fatto che per il popolo il metallo giallo non aveva valore, oppure meglio, se lo aveva, tale valore al mercato nero giungeva a livelli cosmici; facendo un esempio del tutto grossolano e impreciso, è come se un Bitcoin valesse 3 milioni di dollari odierni.



Pertanto, date tutte queste premesse, tocca cercare di comprendere il significato simbolico di Bitcoin, oppure con migliore precisione espositiva, il significato che settori sparsi per il pianeta stanno cercando di dargli (individui, società, traders, ecc.). Voglio subito fare chiarezza: a mio parere gruppi ed entità varie stanno cercando di costruire il significato di Bitcoin come moderna pietra filosofale, la quale tutto ciò che tocca diventa oro e meglio dell’oro. Inutile dire che tali congetture sono solamente una gigantesca bolla speculativa alimentata dai Qe della Bce e dalle politiche monetarie della Fed; si è verificato il cortocircuito delle bolle speculative, perché tali meccanismi monetari dovevano essere transitori (anche se non brevi), ma soprattutto con dinamiche di up and down (incrementi e decrementi monetari continui); invece, stiamo osservando solamente un enorme flusso di moneta che sembra non avere fine, e con una sola direzione: l’aumento.



Sebbene nel breve periodo (12/18 mesi) queste politiche monetarie sono sicuramente benefiche per evitare overshooting di numerosi prezzi (iper aumenti), nel medio periodo, sganciate di fatto in prima battuta dalle politiche di bilancio pubbliche, e poi, cosa molto più grave, da reali ed effettive politiche industriali mirate, generano solo effetti speculativi in borsa, e da ultimo – data l’attuale connettività informatica  – il fenomeno non ancora regolamentato di Bitcoin.

In effetti, se si osserva che la capitalizzazione di Apple pari a circa 2.000 miliardi di dollari ha a che fare con 200 miliardi circa di fatturato si percepisce appieno la paurosa bolla che si è creata: società che hanno un valore irreale per l’enormità dello stesso e che danno il segnale di quanta moneta ci sia in circolazione. Il motivo è che non si vogliono far esplodere i debiti pubblici alle stelle  con il codazzo di tassi di interesse elevatissimi. Non essendoci poi crescita, e dal 2020 – mazzata delle mazzate – l’arrivo del Covid-19, i debiti pubblici non potrebbero essere ripagati con la crescita.

Resterebbero, allora, solo il consolidamento o l’inflazione severa; però, queste due medicine portano con sé il rischio di immediate e laceranti tensioni sociali e politiche, nonché tensioni geopolitiche internazionali, e da ultimo scontri sociali veri e propri. Si è inteso allora con la politica monetaria da Qe cercare di dare un percorso armonioso e lineare, accettando al momento opportuno (quello della crescita) una moderata inflazione armoniosa: la cosiddetta reflazione.

Ma dal 2011 a oggi il tempo trascorso ci situa oramai nel medio/lungo periodo e le criticità si sono amplificate. Addirittura, in questa calma apparente è stata teorizzata la MMT (Moderna teoria monetaria): l’idea che uno Stato qualsiasi stampando moneta non può mai fallire perché ne può sempre stampare quanto occorre a piacimento dimentica il fatto che finché le risorse e i beni sono superiori alla domanda di bisogni, si può fare ciò che si vuole; purtroppo, però, nel mondo reale sono i bisogni a essere sempre maggiori dell’offerta di beni e risorse, e questo porta a inflazione, innalzamento dei prezzi.

Insomma, se uno Stato è paragonabile all’Impero Romano, con suoi sesterzi (fatti anche di paglia) può sempre stampare moneta; ma provate a immaginare l’Italia con la lira affrontare i mercati internazionali. Qui arriva il cuore del problema: l’allora governatore della Bce Draghi ha avuto l’intuito e la convinzione che l’euro sia di per sé un valore, in quanto è la moneta di 21 nazioni tra le più evolute del mondo; così come il dollaro statunitense è garantito dall’economia e dalla finanza di quel Paese, ma ancora di più dalla sua importanza primaria geostrategica planetaria di ordine politico e militare.

In versione minore e diversa tali discorsi sono estensibili alla Cina e alla Russia; resterebbe sullo sfondo l’enigma Giappone con lo yen (non si può approfondire in questa sede, ma analizzando in profondità l’enigma viene svelato).

Cosicché, è su tutto questo scenario che si basa la folgorazione di Bitcoin: enorme liquidità non indirizzata alle industrie, bensì alle manovre speculative in borsa, e l’addendo innovativo tecnologico che connette tramite tastiera il mondo intero (cosa non da poco).

La corsa però termina qui, perché l’importanza e l’efficacia di una connessione in sé non crea ricchezza industriale e strategica; potrebbe al limite solamente distribuire i frutti di quella ricchezza. Ma a questo ci pensa la moneta, che di fatto, aldilà delle criptovalute, è già tutta elettronica; la differenza è che le criptovalute non sono regolate e gestite da autorità statali e governative.

Quindi c’è di fondo l’idea che una community indipendente generi il proprio valore così come qualsiasi società di capitali; soltanto che una società di capitali la ricchezza la deve produrre all’esterno tramite la vendita dei propri prodotti, e non con la generazione all’interno della propria comunità; questo è lo schema di Bitcoin. Sembrerebbe simile il discorso per l’oro, tranne per il fatto che se si pensa a tale materia prima come a una società di capitali, i suoi soci sono gli attori pubblici e privati di tutto il pianeta , di tutte le epoche storiche, di tutte le civiltà. Ben diverso il discorso!

Bitcoin è una scommessa temeraria e indice di grandi pericoli a un orizzonte più o meno prossimo, l’oro è invece uno degli aspetti più condivisi e profondi dell’immaginario antropico di ogni tempo e ogni luogo, così come la Bellezza, la Religione, il caldo, il freddo, il cibo, la salute.

In ultimo: si dice che il valore di Bitcoin è determinato dalla sua rarità; giova sottolineare che la rarità di per sé non genera valore alcuno; esempio di scuola, il naufrago in mezzo all’Oceano Pacifico che ha con sé un diamante da 100 carati. Bitcoin ha solo la funzione di connettività informatica – nemmeno per ora regolata da un’autorità imparziale; l’oro invece ha ogni funzione immaginabile: estetica, arte, industria dei conduttori, industria delle apparecchiature medice e delle medicine nano, aerospaziale e potremmo continuare in maniera indefinita.

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