Domenica 5 aprile, su Rai 3, andrà in onda il film sulla grande rivalità tra Bjorn Borg e John McEnroe. La storia vera della loro “faida” inizia nel novembre 1978: è la semifinale del torneo di Stoccolma. Se stiamo alla nuda cronaca, quel risultato fu epocale: Borg, già vincitore di sei titoli dello Slam e indiscusso campione, fu preso a pallate (6-3 6-4) da un diciannovenne newyorchese. Peccato che i risultati vadano sempre contestualizzati: nello specifico, McEnroe era già salito agli onori delle cronache per avere centrato, qualche mese prima, la semifinale di Wimbledon da debuttante assoluto – cosa che era successa anche alla connazionale Chris Evert, da quel momento conosciuta come la Cenerentola con le scarpe da tennis. Mac non era un giovanotto sconosciuto, per dirla tutta: quel torneo lo avrebbe poi vinto (battendo in finale il compianto Tim Gullikson, poi diventato storico coach di Pete Sampras, ma qui non possiamo aprire una parantesi per ogni nome citato) e nel gennaio seguente si sarebbe preso il primo Masters, che era ufficialmente di fine anno ma all’epoca si giocava all’inizio della stagione successiva.



La rivalità tra Borg e McEnroe che ha ispirato il film si basa su due concetti: lo storico tie break della finale di Wimbledon 1980 e la profonda differenza tra i due. Uno – lo svedese – glaciale, imperturbabile e “poker face” per dirla all’inglese, capace di non mutare mai espressione nel corso della partita (ma in gioventù succedeva eccome), l’altro – lo statunitense con sangue irlandese nelle vene – focoso, iracondo, sarcastico al limite dell’offensivo con arbitri e avversari tanto che, al fianco dei suoi risultati sportivi, viene ricordato anche per le celeberrime frasi rivolte a giudici di sedia e linea (una di queste è diventata il titolo della sua bellissima autobiografia). Vogliamo dire la verità: forse, se il quarto set di quella finale di Londra non fosse andato com’è andato, Borg e McEnroe sarebbero passati alla storia come due straordinari campioni incrociatisi al massimo delle loro carriere, ma come tanti altri e nulla più. Quel fenomenale scambio di punti, che evidenziava anche differenze tattiche (Bjorn solidissimo faticatore dalla riga di fondo, John tutto serve & volley) ha trascinato nella leggenda le due figure e le ha idealmente unite per sempre. Come Roger Federer e Rafa Nadal, come Martina Navratilova e Chris Evert.



Rispetto alle due grandi amiche, tuttavia, Borg e McEnroe hanno giocato uno contro l’altro in appena 14 occasioni: avendo tre anni di differenza, il dato è sorprendente per quanto sia basso. Il bilancio dice 7-7, ma non è questo il punto: di queste 14 sfide solo 4 sono andate in scena negli Slam (vero anche che sono tutte finali) e quindi, se volessimo fermarci ai dati, questi impallidirebbero al confronto con altri incroci storici (un esempio? Navratilova-Evert 80 match, Nadal-Djokovic 55, Djokovic-Federer 50, addirittura Federer-Nadal “solo” 40). Se la vogliamo mettere su questo, la rivalità sussisterebbe poco; solo che gli appassionati di sport sanno bene che l’epica e la consegna ai posteri può derivare anche solo da un episodio, che però si cristallizzi nel momento presente per trascendere la mera cronaca dei fatti. Ecco perché quel tie break resterà leggendario: non per quanto sia durato (si è visto ben altro nel mondo del tennis, Isner-Mahut dice qualcosa?) ma perché ci si giocava la finale di Wimbledon e all’epoca i due interpreti rappresentavano davvero i due diversi lati della racchetta. Questo al netto di gente come Jimmy Connors, Ivan Lendl, Vitas Gerulaitis: già, era una grande epoca.



Era l’epoca dei giocatori di tennis famosi quanto le rock star, anche più delle rock star: cercati, adorati, sognati. Era un epoca in cui le telecamere erano meno assillanti e Mark Zuckerberg non era ancora nato, e i giocatori facevano squadra in notti anche lunghe e folli, dopo essersi affrontati in giornata: nella già citata autobiografia McEnroe racconta che fu Borg in persona a confidargli il proposito di farla finita con il tennis, di un fuoco che si era spento. Non si era necessariamente “amici” nel senso stretto del termine (Bjorn e Mac non lo sono mai stati, non come Evert e Navratilova per esempio) ma si condivideva quella vita fatta di continui viaggi e allenamenti, match e conferenze stampa. Sarebbero tanti gli aneddoti da raccontare, ma qui non ce ne sarebbe lo spazio né l’opportunità; quello che qui interessa riferire è che Borg e McEnroe hanno fatto parte di quell’epoca e di quel mondo, e che tentare un paragone con i rapporti del giorno d’oggi sarebbe un azzardo perché le realtà sono completamente diverse. Oggi un campione di tennis si sposta con un team personale composto da decine di persone, allora c’era chi dopo aver giocato prendeva aerei per raggiungere la fidanzata (ancora segreta o meno) o la moglie, o viceversa.

La storia vera tra Borg e McEnroe si concluse, come in tutti i grandi romanzi, in maniera epocale per dirla così. Dopo quella finale di Wimbledon, McEnroe si prese la rivincita vincendo i Championships dell’anno seguente e spezzando la serie di cinque trionfi sull’erba londinese dello svedese, record assoluto infranto da Sampras e poi da Federer, e con lo svizzero a eguagliarne la serie; poi trionfò al quinto set nell’ultimo atto degli Us Open, due mesi dopo (possiamo dirlo? Quella finale a Flushing Meadows fu ancora più bella di quella che ha ispirato il film, ma non ebbe il celeberrimo tie break e quindi solo i grandi appassionati la ricordano, e pochi altri). Dopo un’altra finale a Londra (vinta da John) e qualche altro incrocio, si arrivò all’ultima sfida newyorchese. Era il 13 settembre 1981: terzo titolo consecutivo per McEnroe nella sua città. Borg, sconfitto in quattro set, andò a rete e strinse la mano al rivale, poi prese e se ne andò senza nemmeno aspettare la premiazione.

Fu l’ultima partita giocata dallo svedese, salvo un tentativo di rientro qualche anno più tardi andato molto male: aveva 26 anni, decise di smettere. Logorato da una preparazione spasmodica per diventare quello che era diventato, non riusciva più a sostenere il peso di quella vita: per capirlo meglio bisognerebbe leggere un meraviglioso libro, pubblicato anche in Italia, che racconta l’evoluzione del tennis in Svezia, noi possiamo qui dire che l’episodio e la parabola di Borg rende ancora più incredibile il percorso attuale dei Big Three – ma, lo abbiamo detto prima, i tempi sono cambiati e un paragone reale e definitivo non è davvero possibile. McEnroe invece sarebbe andato avanti ancora, incrociando addirittura la nuova grande generazione a stelle e strisce (memorabile il ricordo, da ambo le parti, di un doppio giocato con Sampras nella finale di Coppa Davis contro la Svizzera). L’ultimo Slam lo avrebbe vinto nel 1984, naturalmente agli Us Open: il settimo – contro gli 11 di Borg. Qui però, per una volta, i numeri contano meno.