Soffocata dalla stessa cintura dell’accappatoio che aveva scelto per cimentarsi in una sfida raccolta su TikTok, una bimba di 10 anni originaria di Palermo ha trascorso in questa notte le sue ultime ore di vita dopo la generosa decisione presa dai genitori di donare i suoi organi una volta accertatane, dai medici dell’ospedale “Di Cristina”, la morte celebrale. Il dramma che ha colpito Palermo, e che porterà a due giorni di lutto cittadino, sta tutto in questa lunga frase. Così come stanno in questo periodo tutti gli elementi che possono e devono suscitare in ciascuno di noi riflessione e silenzio: dieci anni, un lasso di tempo brevissimo, un’infanzia incompiuta che rimane ai genitori come una caparra di un bene che era stato loro consegnato e che è, dentro tutto l’orrore di questa tragedia, ancora loro promesso.
Il dolore di quel papà e di quella mamma è oggi tutto calamitato non dalla vita che se n’è andata, verso la quale non possono nulla, ma dalla parte di esistenza che a loro resta e che, senza la piccola, pare un inattraversabile inferno. TikTok, il social cinese che spopola tra i più giovani e che ha lo scopo di intrattenere l’utenza con brevi video che attraversano il pianeta di smartphone in smartphone: un impero che fa concorrenza a Instagram e che alimenta quella realtà virtuale che è sempre più reale, riempiendo il vuoto lasciato da una vita che non si dedica più ad alcunché, che ha bisogno solo di essere intrattenuta tra un ciclo produttivo e l’altro, imbrigliata nei meccanismi del consumo e del conflitto.
La sfida, quel momento tra gioco ed eccitazione che nasconde il nulla in cui gettiamo i nostri figli fin dalla più tenera età, impossibilitati – a causa delle nostre cieche ambizioni – a donare loro il bene più prezioso, l’unico che fa crescere: il tempo della nostra adulta presenza. Colpevolizzare i genitori della piccola per quanto accaduto sarebbe inutile e moralistico, richiamare alla necessità di regole che determinino il mondo dei social sarebbe solo moraleggiante, far notare che c’è una complessità da governare nel momento in cui non si riesce neppure a governare un paese sarebbe ridondante e forse di pessimo gusto. Mentre invece sottolineare che “non è bene che l’uomo sia solo”, che non possiamo rassegnarci ad una solitudine che oggi è assenza di legami, di compagnia e di appartenenza, è l’unico richiamo umano che abbia senso perché ci invita a riconsiderare quanto le persone che amiamo stiano senza qualcuno accanto, convinti come siamo che la tv, il telefono o la play station siano una forma di amicizia, di legame, di relazione.
Oggi abbiamo bisogno più che mai di una carne che ci accompagni nell’unica sfida che la vita ci abbia davvero fatto: vivere. È per l’assenza di una carne così accanto a sé che la piccola è morta: possa quell’angioletto essere da monito per tutti a diventare – gli uni per gli altri – dimora, famiglia, desiderato monastero.
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