Nei confronti del doping, i tifosi, di qualsiasi disciplina sportiva, nutrono una sorta di fastidio. Più che il risentimento o la voglia di giustizia, è il desiderio che tutto passi in fretta a pervaderli.

L’ho sperimentato negli anni. Più i media dedicano spazio al doping, alle inchieste, alle condanne, anche di famosi atleti, meno il popolo è interessato. Tra i reati legati allo sport, il doping è quello più sfuggente. Anche ora che il Comando Carabinieri per la tutela della salute, in collaborazione con Europol, ha effettuato una maxi-retata continentale, l’operazione “Viribus”, che ha portato all’arresto di 234 persone, al sequestro di oltre 3,8 milioni di sostanze dopanti, alla scoperta di 9 laboratori clandestini, di cui uno in Italia, e a oltre mille persone indagate, preferiamo cliccare sulle notizie di mercato, su De Ligt e Barella, su Icardi e James, spesso con i loro destini incrociati.



Eppure, più di altre notizie di doping, diciamo del doping dei “grandi”, dal ciclismo al nuoto, dall’atletica al tennis, è proprio questo traffico destinato al mercato delle palestre e degli amatori a doverci preoccupare. Spesso pensiamo che siano solo i grandi atleti come Ben Johnson o Lance Armstrong a ricorrere alla chimica per superare gli avversari e stessi, invece sono i ciclisti della domenica, i palestrati che si aggirano nel settore dei pesi a farne uso.



All’inizio degli anni 80, giovane giornalista, divenni sodale di un simpatico collega, più grande di me, con cui scoprii similitudini nella comune volontà di goderci la vita. Un giorno lui mi confessò che aveva un passato da ciclista amatoriale, che aveva corso diverse gare e alcune le aveva vinte. Allora, la sua fidanzata, poi diventata sua moglie, proprietaria di una farmacia, gli passava certe pilloline che gli permettevano di elevare il rendimento. Me lo disse con grande candore.

Non mi sognai di condannarlo allora e non lo faccio oggi (il reato era già prescritto allora), però invito tutti all’attenzione: le sostanze dopanti le troviamo alla porta accanto, non solo al Tour o all’Olimpiade. E fanno male, prima di essere delle vigliacche scorciatoie per il successo. Non voltiamo la testa dall’altra parte.