È tutt’altro che banale – e come tale poco considerato dai media e social “intelligenti” – l’ultimo intervento del blogger Angelo Bruscino su Huffington Post, imprenditore impegnato da anni nella Green Economy, scrittore e giornalista. Seguendo la nuova linea del direttore di “Huff” Mattia Feltri, è il politicamente corretto e tutte le sue (malsane) sfumature ad essere inquadrato come uno dei veri “virus” culturali presenti nella nostra realtà di tutti i giorni: dal MeToo al Blm fino alla più vasta “culture cancel” che rivendica un nuovo presente senza il passato “razzista, sessista, colonialista” e chi più ne ha ne metta. Ecco che Bruscino lancia una sentenza che già da sola varrebbe un approfondimento vastissimo: «Il politically correct è il vero e proprio grande fratello orwelliano della nostra epoca». Non si combatte più contro qualche idea o ideologica, ma si assiste sempre di più al giorno d’oggi a obiettivi – e richieste sanzioni “medianiche” – per stabilire quali concetti siano legittimi o meno. Ad essere minata così si rischia non solo la libertà d’espressione, ma la «libertà stessa di formulazione del pensiero, dato che pensiamo con le parole e, se le parole vengono cassate, il pensiero non è più formulabile», scrive benissimo il blogger dell’HuffPost.



TRA CANCEL CULTURE E ORWELL

La cancel culture cha ha già profetizzato Orwell in “1984” – scritto però nel 1948, ndr – parte sì da buone intenzioni (combattere discriminazioni, soprusi, razzismi ecc.) ma con una battaglia che risulta nei fatti «totalitaria e illiberale». E così Bruscino si allinea all’esempio del grande (ma mai fino in fondo seguito) maestro romanziere inglese, affermando «il grande paradosso di questi movimenti è la volontà di eliminare la libertà di espressione per perseguire l’uguaglianza; ma la storia già ci ha insegnato che sono da rigettare sia le distopie mercatiste, dove la prima prevale sulla seconda, che quelle comuniste, che comprimono la libertà per inseguire l’uguaglianza».



L’odio manifestato contro l’Occidente da parti dello stesso Occidente vede la cancel culture come un pericolo molto più vasto di quanto i media non rappresentino (e spesso invece difendono): «Razzismo e sessismo non sono peculiarità della nostra civiltà, anzi è vero l’esatto opposto. Qual è lo stato delle pari opportunità fuori dall’Occidente? Ecco che la cancel culture ci conduce al paradosso in cui ci sono preti che mettono sotto accuso la “whiteness” di Cristo, mentre un cappa assordante cala sulle altre culture; e chi ponesse la questione del maschilismo nell’islam verrebbe subito tacciato di islamofobia». Un movimento come quello della cancel cultura trova grandissima “fertilitù” nelle aree liberal e progressiste, impegnate ad attaccare i sovranismi “cattivi” senza però accorgersi che l’alternativa che propongono è se non altro identica nel rischio totalitario: «la decostruzione ineguale opera solo su di noi e non sugli altri». Qui Bruscino conclude la riflessione che invitiamo però tutti a tenere il più possibile “aperta”, in modo da non perdere l’occasione di rimanere desti ai pericoli del pensiero “illiberale” mascherato da “potere dei più buoni” (come diceva uno dei più grandi “eredi” dello spirito orwelliano, Giorgio Gaber).

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