In attesa del tanto agognato Decreto agosto, la discussione si incentra, soprattutto, se, come e quanto prorogare il divieto di licenziare. In questo quadro i segretari generali di Cgil, Cisl e Uil, Maurizio Landini, Annamaria Furlan e Pierpaolo Bombardieri, hanno preso una posizione molto netta, e poco conciliante, per cui se il Governo Conte non prorogasse il blocco dei licenziamenti sino alla fine del 2020 si assumerebbe, secondo i leader sindacali, tutta la responsabilità del rischio di uno scontro sociale ritenuto, probabilmente, inevitabile.



Si sottolinea, in particolare, che chi pensa di anticipare quella data alla fine dello stato di emergenza (per ora il 15 ottobre) dimostra di non avere cognizione delle elementari dinamiche del mercato del lavoro e di non preoccuparsi delle condizioni di centinaia di migliaia di lavoratrici e di lavoratori. Si sostiene, quindi, nella nota unitaria, che pensare che possano stare insieme sgravi contributivi e fiscali generalizzati (con particolare riferimento all’intervento sull’Irap) e licenziamenti (di massa?) significa non capire fino in fondo che ora è il tempo della coesione sociale e degli investimenti sul lavoro e non di mettere i lavoratori ai margini dei processi produttivi.



Secondo, insomma, i tre Segretari generali è, ad esempio, particolarmente grave che, nell’attuale quadro, Confindustria decida di non firmare i contratti nazionali delle lavoratrici e dei lavoratori della sanità privata e del settore alimentare che, con la loro opera essenziale, hanno permesso al Paese di uscire dalla fase più acuta della crisi sanitaria.

In questa prospettiva Cgil, Cisl e Uil hanno già indetto un’iniziativa, dopo le “vacanze” estive, per il 18 settembre. Nel non detto vi è la possibilità/rischio che questa iniziativa possa essere trasformata in uno sciopero generale. Tutto dipenderà, secondo i tre principali sindacati italiani, esclusivamente dalle scelte dell’esecutivo, a partire da quelle inserite nel Decreto agosto ancora in fieri, e della Confindustria.



Sembra mancare nel dibattito, tuttavia, da parte di tutti i soggetti coinvolti, una riflessione necessaria, e urgente, sul cosa (ma anche sul quando e come) fare per le persone/lavoratori che, comunque, prima o poi, probabilmente saranno espulsi dal nostro mercato del lavoro o che comunque stanno attraversando un processo, al netto dell’effetto palliativo della cassa integrazione, di marginalizzazione nel mondo del lavoro che verrà, ma che in parte si sta già costruendo oggi.

Oltre, infatti, al Fondo per le Nuove Competenze, che dalle indiscrezioni risulta verrà arricchito, non pare, a oggi, esserci in campo una proposta ampia e organica di riforma e di rilancio di politiche attive di qualità che sembrano essere diventate sempre più necessarie per la sostenibilità della nostra idea di welfare state e di coesione sociale del Paese.