Con l’approvazione nei giorni scorsi del Decreto Ristori è intervenuta puntualmente l’ulteriore proroga del blocco dei licenziamenti, ormai costante previsione della decretazione a sostegno di imprese e lavoratori sin dagli albori dell’emergenza sanitaria, e a oggi attualmente previsto sino al 31 gennaio 2021. Tra l’altro, è notizia degli ultimi giorni come il Governo abbia raggiunto un’ulteriore intesa con le organizzazioni sindacali e datoriali volta a prorogare ulteriormente il divieto sino al 21 marzo 2021, a condizione che l’accesso ai trattamenti di integrazione salariale venga garantito senza oneri aggiuntivi in capo ai datori di lavoro.



Infatti, sebbene in un primo momento l’accesso alla cassa integrazione con causale Covid-19 fosse concesso, in deroga alla disciplina ordinaria, a un’amplia platea di lavoratori, gratuitamente e senza oneri aggiuntivi, a partire dall’approvazione del Decreto Agosto prima, e del Decreto Ristori poi, la fruizione di tale trattamento risulta condizionata al pagamento di un contributo addizionale a carico di quei datori di lavoro che abbiano subito una riduzione del fatturato inferiore al 20%, nonché alcuna riduzione del fatturato, rispetto al primo semestre 2019.



Senza dubbio, il blocco dei licenziamenti potrebbe ritenersi in parte giustificato dall’assenza di contribuzione in caso di ricorso alla cassa integrazione nonché dall’ampliamento dei potenziali fruitori della stessa, come sin dal Decreto Cura Italia il nostro legislatore ci ha insegnato; tuttavia, tale parziale conquista a sostegno dell’ulteriore proroga sino a marzo 2021, a distanza di oltre un anno dall’introduzione del divieto, non azzera i dubbi di opportunità, nonché di legittimità costituzionale di una misura di tale portata, tra l’altro, si badi bene, non prevista negli altri Paesi altrettanto colpiti dalla pandemia da Covid-19.



Sotto il primo profilo, giova in primis rilevare come il blocco dei licenziamenti non possa evitare, o anche solo mitigare, le impattanti conseguenze economiche scaturenti dall’emergenza in atto, ma si limiti unicamente a posticiparle in un futuro sempre più prossimo. È ormai evidente, stante il perdurare dell’epidemia, come, una volta venuta meno il blocco, si aprirà uno scenario caratterizzato da un proliferare di licenziamenti collettivi e individuali fondati su ragioni economiche, i quali potrebbero mettere a dura prova il tessuto economico e sociale, nonché lo scarno sistema di politiche attive predisposto dalla normativa vigente. Le misure di sostegno per imprese e lavoratori approntate dalla normativa emergenziale, fondate su una logica di divieti e sussidi di breve e medio periodo, finiranno per rivelare la loro inadeguatezza nel momento in cui, una volta venuto meno il blocco, molte imprese si troveranno costrette a procedere a licenziamenti ravvicinati nel medesimo periodo e i lavoratori si troveranno privi di validi strumenti di sostegno diretti a favorire la loro ricollocazione.

Appare superfluo sottolineare come il binomio blocco dei licenziamenti-cassa integrazione difficilmente potrà escludere tale scenario, una volta che il divieto verrà meno; tuttalpiù, sarebbe stato indubbiamente preferibile da parte del nostro legislatore giustificare l’introduzione di un divieto di tale portata mediante l’accesso da parte della generalità delle imprese a un’immediata e considerevole iniezione economica, sulla scia del modello tedesco, in grado di compensare i considerevoli risvolti economici derivanti dalla tenuta di posti di lavoro ormai in esubero.

Una misura di tale portata, mai prevista prima nella storia repubblicana del nostro Paese, inizia a cedere il passo anche sotto l’ulteriore profilo della legittimità costituzionale a fronte della continua reiterazione del divieto, il quale arriverebbe a protrarsi per oltre un anno. È evidente come, sebbene in un primo momento il blocco dei licenziamenti potesse ritenersi motivato dalla situazione emergenziale e inedita, tanto da legittimare (in parte) una restrizione della libertà d’impresa di cui all’articolo 41 della nostra Costituzione, la reiterazione dello stesso finisce per sollevare seri dubbi di legittimità costituzionale laddove, di fatto, viene a perdere il proprio carattere emergenziale, configurandosi tuttalpiù quale misura strutturale insita nel nostro ordinamento. Come noto, la deroga alle libertà costituzionali, tra cui rientra a pieno titolo la libertà d’impresa, può giustificarsi unicamente alla luce di norme di carattere transitorio ed eccezionali: difficile parlare di transitorietà ed eccezionalità per una norma, quale quella relativa al blocco dei licenziamenti, la quale è stata ripetutamente prolungata per mesi. L’ormai carattere strutturale della stessa rende sempre più difficile sostenere la legittimità di una siffatta deroga alla libertà d’impresa.