Si avvicina la scadenza del 1° luglio, quando dovrebbe scattare lo sblocco dei licenziamenti. I sindacati, però, chiedono una proroga per non rischiare la possibile perdita di 2 milioni di posti di lavoro, mentre Confindustria getta acqua sul fuoco: “Da gennaio ad aprile – ha dichiarato il presidente Carlo Bonomi – la manifattura ha assunto 123mila persone, siamo in fase di ripresa ed espansiva. Nella manifattura non abbiamo problemi di licenziamenti e continuare a dire che ‘se non si fa il blocco dei licenziamenti scateneremo le piazze’, non credo che sia il modo di approcciare il discorso”. Intanto il governo sembra propenso all’ipotesi – avanzata dalla Lega – di intervenire in modo selettivo, prorogando il blocco dei licenziamenti solo per i settori più in crisi. Idea sufficiente e praticabile, visti i tempi stretti a disposizione per trovare un’intesa? O servono anche altri interventi? E soprattutto: come fare in modo che la ritrovata fiducia e il rinnovato slancio dell’economia italiana si traducano in nuove opportunità di occupazione? Ne abbiamo parlato con Marco Bentivogli, ex sindacalista e coordinatore di Base Italia.
Sul nodo dei licenziamenti il ministro Giorgetti propone una soluzione selettiva, in base all’andamento dei settori produttivi di appartenenza. Che ne pensa?
Il settore è solo uno degli indicatori, difficile stabilire la condizione aziendale ragionando solo sui comparti, perché nello stesso settore ci sono aziende che vanno benissimo o malissimo. Ma il fatturato in sé e per sé è un indicatore “stupido”, in realtà bisognerebbe valutare l’andamento aziendale, l’Ebitda e la situazione in cui un’azienda si trovava anche prima del 2019. Se in Italia iniziassimo a utilizzare i dati in maniera più intelligente, questa valutazione potrebbe essere fatta con maggiori capacità selettive. E mi auguro che non si utilizzino più i codici Ateco.
Sul tavolo ci sono proroga di qualche mese, sblocco dal 1° luglio, interventi per settore: il Parlamento e l’ampia maggioranza dei partiti che sostengono il governo Draghi riusciranno a trovare un’intesa?
Ovviamente bisogna fare in modo che un’intesa venga trovata. Il tema vero è che a essere drammatici sono i dati di quelli che sono esclusi da questo livello di protezione. Bisognerebbe occuparsi di questo milione di persone non interessate dalla cassa integrazione e neanche dal blocco dei licenziamenti.
Per loro che cosa bisognerebbe mettere in campo?
Con Pietro Ichino e Lucia Valente abbiamo avanzato una proposta, perché non ci sono solo persone che saranno licenziate, ma anche aziende che sanno già che non riprenderanno l’attività perché in situazioni di non ritorno. In quel caso bisogna che il paese si prenda cura del reinserimento vero, non a parole con welfare elettorale come navigator o redditi di cittadinanza, ma nel mercato del lavoro attraverso percorsi professionalizzanti di alta qualità, oltre ovviamente all’utilizzo di ammortizzatori sociali. Lanciamo un milione di nuovi studenti degli Its a cui agganciare contratti di apprendistato. Lavoro vero su nuove competenze, non sussidi e clientele.
Da luglio si rischia davvero una “macelleria sociale”, come temono i sindacati?
Di sicuro ci sono tanti lavoratori che sono stati prevalentemente in cassa integrazione e in molti casi le aziende, da mesi, hanno comunicato loro che non sarebbero più tornati a lavorare. Il tema vero, dunque, è che questi mesi andavano sfruttati per costruire la ripartenza delle aziende e percorsi di reinserimento lavorativo. Allungare l’agonia, continuando a perdere tempo, rischia di essere drammatico.
Si è sprecato tempo prezioso?
Sì, si è perso del tempo. Solo qualche ora fa sono stati nominati i nuovi vertici dell’Anpal. È gravissimo: il governo Conte 2 ha completamente sottovalutato la situazione. Per fortuna, anche se in modo tardivo, il nuovo esecutivo è intervenuto, perché servono, e serviranno, politiche attive molto concrete. In Italia le politiche attive sul lavoro sono oggetto di convegnistica, ma poco disponibili per i lavoratori.
Infatti c’è chi auspica che lo sblocco dei licenziamenti sia un’occasione per ripensare a politiche attive più efficaci. C’è il tempo e ci sono le ricette per farlo?
In molti casi bisogna far lavorare insieme le banche dati di Inps e Anpal, bisogna togliere la prerogativa alle Regioni, perché in troppi casi non sono efficaci nei loro interventi, e bisogna far sì che a essere collocato non sia più in media solo il 2,7% di chi si rivolge ai Centri per l’impiego. Le persone devono rientrare al lavoro il prima possibile e questo costituirebbe un vantaggio economico anche per l’Inps.
Dopo la pandemia molti settori andranno incontro a profonde ristrutturazioni e il governatore Visco ha detto che “serve un nuovo sistema di ammortizzatori sociali”. Come e dove intervenire?
Il governatore Visco ha detto che “serve un nuovo sistema di ammortizzatori sociali intelligente”, che è esattamente il contrario di ciò che da luglio 2020 è stato fatto: da quasi un anno la cassa Covid gratuita è stata data a tutte le imprese senza condizionalità, anche ad aziende in buona salute. I percorsi devono essere selettivi, valutati caso per caso – e i dati ci sono –, tenendo un monitoraggio costante del trend storico delle aziende. Non è più tollerabile utilizzare la cassa integrazione a pioggia, perché questo porta anche a degli abusi. Le aziende serie e oneste rischiano di essere mortificate due volte e i lavoratori lasciati a casa senza motivo.
Perché in Italia è così difficile difendere le imprese e insieme i lavoratori? Sono due mondi in contrapposizione?
Imprese e lavoratori hanno alcuni interessi convergenti, che in tutto il mondo marciano insieme. Che un’impresa sia in piedi e in buona salute è un vantaggio sicuramente per l’imprenditore, ma anche per i lavoratori. La contrapposizione di classe è un sogno che ha solo la “gauche in panciolle”, che guarda agli operai come animali esotici.
Intanto riparte la domanda di lavoro. Secondo l’ultimo bollettino mensile del sistema Excelsior, sono oltre 560mila le opportunità offerte dalle imprese a giugno. E la ricerca di personale dovrebbe superare questo mese anche quella registrata a giugno 2019, in epoca pre-Covid…
Attenzione: teniamo conto che il 2019, abbastanza buono per gli altri paesi, era stato un anno negativo per l’economia italiana, con una serie di dati in rosso per la produzione industriale. Non solo: nel 2019 e nel 2020 si era verificato un aumento consistente del numero di persone andate in pensione.
Comunque le stime 2021 del Pil italiano prevedono una crescita intorno al 5%, se non addirittura superiore. Come mettere a terra, cioè far ricadere sul mercato del lavoro, questa accelerazione della ripresa?
Le richieste riguarderanno in molti casi competenze nuove, per cui serve un sistema di formazione riformato e molto adattivo alle persone. Più che una crescita vera e propria, penso che ci sarà un rimbalzo dell’occupazione.
Ci sarà un rimbalzo anche per giovani, donne e lavoratori a tempo determinato, i più colpiti dalla crisi, assieme agli autonomi?
Questo dipenderà molto da ciò che si farà: in questo momento le norme del mercato del lavoro discriminano soprattutto donne, giovani e contratti non standard. E il fatto che questi contratti siano invisibili alla politica è assolutamente grave: il lavoro deve tornare a essere un’opportunità, a partire dagli esclusi.
(Marco Biscella)
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