Dopo l’ultima operazione di soccorso sono 380 i naufraghi a bordo delle navi umanitarie Ocean Viking e Humanity 1, che chiedono di poter sbarcare “nel porto sicuro più vicino”. Ma il Viminale ritiene che queste due navi non possano attraccare in Italia, perché “non in linea con lo spirito delle norme europee e italiane in materia di sicurezza e controllo delle frontiere e di contrasto all’immigrazione illegale”. E in un’intervista a La Stampa il neo ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, ha sottolineato: “Ho voluto battere un colpo per riaffermare un principio: la responsabilità degli Stati di bandiera di una nave”.
E poi ha aggiunto: “Non accetto il principio che uno Stato non controlli i flussi di chi entra. Frenare le partenze significa anche limitare le morti in mare, che mi ripugnano e che vedo ormai quasi non fanno più notizia”. Il blocco navale è giustificato? Non rischia di diventare una controversia pesante con la stessa Ue? E la nuova strategia sull’immigrazione che il nuovo governo vuole seguire funzionerà per fermare il traffico di essere umani nel Mediterraneo? Ne abbiamo parlato con Mauro Indelicato, giornalista di InsideOver esperto di geopolitica e immigrazione.
Il Viminale sta valutando il divieto di ingresso nei porti italiani alla Ocean Viking, che batte bandiera norvegese, e alla tedesca Humanity 1, perché non sono in linea con le norme europee e italiane in materia di contrasto all’immigrazione illegale. A quali norme si fa riferimento? E la mossa del ministro Piantedosi è legittima?
Il nuovo titolare del Viminale fa riferimento alle norme internazionali secondo cui le operazioni di soccorso vanno svolte sotto il coordinamento delle autorità statali competenti, ossia di quello Stato a cui appartiene l’area Sar in cui sta avvenendo il soccorso. Nel caso specifico, Piantedosi ha rimproverato alle Ong di non aver avvisato né Tripoli, né La Valletta, competenti in quanto le navi hanno operato all’interno di acque Sar libiche e maltesi. In base a questo, il ministro si sta riservando quindi di decidere per un eventuale divieto di ingresso in acque italiane.
Le due Ong hanno risposto che seguono la legge del mare: chi è in difficoltà, va soccorso. C’è contrasto tra le due normative?
Si può operare in una determinata area Sar e dare soccorso ai barconi in difficoltà e, contemporaneamente, allertare le autorità preposte. Non c’è un contrasto tra le due normative. Il problema riguarda più l’ambito politico e non quello tecnico o giurisprudenziale: per le Ong le autorità libiche non sono affidabili e il loro obiettivo è quindi portare i migranti verso le coste italiane. Potevano allertare Tripoli o La Valletta, ma semplicemente non l’hanno voluto fare.
Il braccio di ferro con la Ocean Viking e con la Humanity 1, che coinvolgerà gli Stati di bandiera, cioè Norvegia e Germania, può trasformarsi in una grana per il nuovo governo? Anche in sede Ue?
Potrebbe senza dubbio essere il primo banco di prova per l’esecutivo di Giorgia Meloni. Finora c’è stata una sostanziale luna di miele tra Roma, Bruxelles e gli altri leader europei, anche quelli più scettici rispetto alla linea del nuovo presidente del Consiglio. Ma nel momento in cui i nodi più intricati, e certamente quello migratorio è uno di questi, verranno al pettine, bisognerà vedere quali saranno le reazioni sia all’interno che all’esterno dell’Italia.
Che cosa potrebbe succedere?
A livello interno, un nuovo braccio di ferro con le Ong potrebbe portare agli stessi scenari visti tra il 2018 e il 2019, quando l’immigrazione polarizzava il dibattito ogniqualvolta il Viminale retto da Matteo Salvini non accordava lo sbarco di migranti. In Europa, l’eventuale chiamata in causa della Germania e della stessa Francia, visto che l’Ocean Viking è in uso alla Ong francese Sos Mediterranée, potrebbe accendere le prime tensioni su questo e su altri dossier.
Meloni nel suo discorso per il voto di fiducia ha detto che “l’immigrazione va governata” e ha affermato che intende rilanciare la terza fase, mai attuata, della missione Sophia dell’Ue, avviata nel 2015. A cosa si riferisce?
Il riferimento è a quanto previsto nel documento istitutivo dell’operazione Sophia, in cui si parla espressamente di “neutralizzazione delle imbarcazioni e delle strutture logistiche usate dai contrabbandieri e dai trafficanti sia in mare che a terra” e di “sforzi internazionali per scoraggiare gli stessi contrabbandieri nell’impegnarsi in ulteriori attività criminali”.
In concreto?
La strategia di cui ha parlato il neopresidente del Consiglio potrebbe dunque essere quella relativa proprio allo smantellamento delle reti criminali, specialmente quelle presenti in Libia. Occorrerà capire come la Meloni intenderà attuare questo programma: la missione Sophia si è formalmente conclusa nel 2020 ed è stata sostituita dalla missione Irini. Roma potrebbe operare nell’ambito di questa missione, ma anche in questo caso occorrerà vedere come. Da sola l’Italia potrà fare ben poco, quindi il governo dovrà comunque intervenire politicamente in Europa.
La Meloni ha anche proposto, da un lato, un Piano Mattei per l’Africa, così da aiutare quelle popolazioni a non abbandonare le loro terre, e dall’altro la creazione di hotspot nei paesi che si affacciano sulla sponda sud del Mediterraneo, con compiti di accoglienza e selezione di chi avrà diritto a entrare in Italia, quindi in Europa, onde evitare che a scegliere chi può sbarcare sulle nostre coste siano gli scafisti. Sono due misure che possono aiutare a contrastare il traffico di esseri umani?
Un eventuale Piano Mattei credo potrebbe avere un senso, se applicato, prima di tutto in ambito politico. È infatti fondamentale per l’Italia tornare a investire molto in Africa e avere una chiara agenda africana. Molti Paesi nel continente vedrebbero in chiave positiva una maggiore presenza italiana e per Roma c’è quindi la possibilità di giocare le sue carte in un’area dove invece, già da molti anni, ben altre potenze stanno ramificando le proprie strategie. Ma in ambito migratorio la situazione è diversa.
Perché?
Spesso l’equazione tra maggiore sviluppo e minori partenze si è rivelata inesatta. Anche se il divario economico tra Europa e Africa è ancora molto ampio, negli ultimi anni si è però assottigliato e questo non ha impedito l’incremento delle partenze registrato di recente.
E l’idea degli hotspot nei paesi del Nordafrica?
Per quanto riguarda la creazione di hotspot lungo la sponda opposta del Mediterraneo, la strategia, se attuata bene, potrebbe dare i suoi frutti. Tempo fa se n’è parlato anche in ambito europeo e l’idea non è più un tabù.
(Marco Tedesco)
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