E’ il 22 novembre 1963. Bob Dylan sta salendo sul palco per un concerto, ma non è una serata come tutte le altre. Quel pomeriggio, il presidente degli Stati Uniti è stato ucciso a Dallas, nel Texas. Il cantante comincia con un brano da poco scritto, che uscirà nel disco omonimo qualche mese dopo, The Times They Are A-Changin’, i tempi stanno cambiando. Un inno per una America che proprio grazie a JFK stava sperimentando la speranza di un cambiamento epocale. Bob Dylan la canta lo stesso, ma in cuor suo sa che i tempi, adesso, non cambieranno più. Da voce di una generazione che aveva preso in mano tutte le utopie di un cambiamento reale, diventerà la voce di se stesso, un uomo che cerca di capire se stesso e il mondo, assassino, che lo circonda. Nel giro di pochi mesi l’America sprofonderà nell’incubo del Vietnam. Sì, i tempi stanno cambiando ma non nel modo in cui si era sperato.



Marzo 2020, il mondo sta sprofondando in un altro incubo. Un virus miete morte, distrugge le speranze, la vita come l’abbiamo conosciuta. Siamo chiusi nelle case, ci è vietato avvicinarci al prossimo. Dal nulla, appare su Instagram una nuova canzone di Bob Dylan. “Saluti ai miei fan e a chi mi segue, con gratitudine per il loro sostegno e la fedeltà lungo gli anni. Questa è una canzone mai pubblicata registrata qualche tempo fa che potreste trovare interessante. State al sicuro, osservate le disposizioni (di sicurezza) e che Dio sia con voi” scrive il cantante. E’ da otto anni che Bob Dylan non pubblica una canzone nuova. Nel frattempo è diventato premio Nobel per la letteratura, e certo che la troveremo interessante. E’ da più di cinquant’anni che il mondo pende dalle sue labbra, il più significativo autore di canzoni della storia, che profeticamente ci ha sempre indicato la strada.



Il brano si intitola Murder Most Foul, “l’omicidio più disgustoso” e dura quasi 17 minuti, battendo ogni record di lunghezza per un artista che ha inciso molti brani di lunghezza analoga, l’ultimo dei quali, Highland, durava 16 minuti. D’altro canto, come ha riconosciuto l’Accademia di Svezia, lui è un poeta, non solo un autore di canzoni.

Sorprendentemente, l’omicidio di cui parla è quello di JFK di quel lontano novembre 1963.

E’ una canzone oscura, quasi una elegia funebre, lenta e cadenzata. Pochi accordi di pianoforte, un violino in sottofondo, percussioni lugubri che tengono il tempo di un funerale. Una canzone perfetta per questi tempi di sofferenza e morte. Assomiglia alle canzoni dell’ultimo disco di Nick Cave. Come quelle, non ha una direzione, non ha un inizio e una fine. E’ sospesa nell’aria. Potrebbe essere stata registrata ieri, potrebbe esserlo stato nella notte dei tempi. Bob Dylan è voce fuori del tempo, vive in un tempo immemorabile. La voce è ipnotica, ripete sempre le stesse battute, ma come solo Dylan sa fare, ti tiene inchiodato anche per tutti quei minuti. Si aggancia al cuore, come un mare che tutto trascina con sé. E tu ascolti. Ascolti quello che è il pianto commosso di una generazione, di un mondo antico, di un dolore comune che in questo periodo drammatico della storia dell’umanità risuona come un monito, come una preghiera, come un lamento sordo e lancinante.



E’ l’American Pie di Bob Dylan, la canzone di Don McLean che raccontava del giorno che la musica morì, la morte di Buddy Holly, l’idolo di una generazione, passando in rassegna i miti e gli eroi degli anni 60, Dylan incluso. Che adesso fa lo stesso. Mentre accusa con veemenza gli assassini, i complotti, lo schifo della politica rivivendo quegli attimi del 22 novembre 1963 e quello che è successo dopo, passa in rassegna cantanti e canzoni. Quelle che hanno segnato il mondo da allora a oggi, perché le canzoni rock sono quelle che hanno raccontato meglio di ogni altra cosa il mondo e la nostra vita. “Il giorno in cui hanno fatto esplodere il cervello del re migliaia guardavano da casa e vedevano tutto è successo così in fretta e così in fretta di sorpresa proprio lì davanti agli occhi di tutti il più grande trucco magico di sempre sotto il sole perfettamente eseguito, abilmente fatto, uomo lupo oh uomo lupo oh uomo lupo ulula rub-a-dub-dub è un omicidio il più disgustoso, il più crudele”.

L’America non è stata più la stessa dopo quel giorno, dice. E’ vero. Basta scorrere la lista dei presidenti che si sono succeduti dopo JFK per provare un grande disgusto: i Nixon, i Reagan, i Bush fino al criminale in carica oggi. Tutti hanno contribuito a distruggere il paese e il suo sogno. Tutti hanno le mani sporche del sangue di JFK: “Il giorno in cui l’hanno ucciso qualcuno mi ha detto, figliolo l’era dell’anticristo è appena iniziata Airforce One entra attraverso il cancello Johnson ha prestato giuramento alle 2:38 lasciami sapere quando decidi di gettare la spugna è quello che è ed è l’omicidio più disgustoso (…) l’anima di una nazione è stata strappata via e sta iniziando a decadere lentamente sono trascorse 36 ore dal giorno del giudizio”.

Poi ci sono le canzoni. Dylan ne cita tantissime e anche i cantanti. Dai Beatles, agli Who, Lindsey Buckingham e Stevie Nicks, Don Henley e Glenn Frey degli Eagles, Dickey Betts della Allman Brothers Band, jazzisti come Harold Lloyd, Art Pepper, Oscar Peterson, Stan Getz, “Charlie Parker and all that junk,” Nat King Cole, bluesmen come John Lee Hooker, Wolfman Jack, canzoni come Wake Up Little Suzy, Let the Good Times Roll, The Old Rugged Cross, Memphis in June, Moonlight Sonata, Play Misty for Me, Lonely at the Top,  Lonely Are the Brave, Another One Bites the Dust dei Queen, Take it to the limit degli Eagles, Mystery Train, Blue sky della ABB, One night of sin di Elvis.

Alla fine di tutto, pensando a questo tempo orribile, di morte dolore, che cosa resta? Dylan, come sempre non lo dice, e come ha sempre fatto se ne fotte delle regole. Osa addirittura includere la bandiera confederata (Blood-stained banner è l’ultima versione delle tre bandiere sudiste durante la Guerra civile, una “bandiera sporca di sangue” che venne usata negli ultimi tempi prima della resa) che recentemente è stata vietata come simbolo di razzismo. Ma chi cancella la storia, pagherà nel rivederla risorgere con ancora più rabbia. Per Dylan, bene e male coesistono nella natura stessa dell’uomo, e chi si erge come simbolo di un bene univoco mente.

“Suona l’oscurità e la morte arriverà quando arriverà suona Love me or leave me suona Blood-stained banner, suona Murder most foul”.

Siamo inchiodati al nostro destino. Con una sola carezza: “May God be with you”.

Video, “Murder Most Foul” di Bob Dylan