Nelle note di copertina del suo album di cover blues e folk, World Gone Wrong, pubblicato nel 1993, Bob Dylan definì Broke Down Engine, uno dei brani registrati in quel disco, del bluesman Blind Willie McTell, un capolavoro. “Si tratta di treni, mistero sui binari…” scrisse Dylan. “Variazioni del desiderio umano – il basso ronzio in metri e sillabe”.



Esattamente dieci anni prima il cantautore americano aveva registrato quello che si potrebbe definire un tributo per il bluesman degli anni Venti, la canzone che portava il suo nome nel titolo, durante le sedute di registrazione per Infidels. Il brano però non sarebbe stato incluso nel disco pubblicato, con lo stupore di tutti coloro che ne erano al corrente. Il giornalista Larry Sloman racconta che Dylan gli fece ascoltare il disco in anteprima al che gli chiese con tono allarmato e scioccato dove fosse finita Blind Willie McTell. “Calma, Larry, è solo una canzone, ne ho scritte centinaia” rispose Dylan.



Quando però The Band, nel loro disco della reunion uscito anch’esso nel 1993, ne incisero una cover straordinaria, Dylan stesso ammise che in fondo era un pezzo valido e che quella versione gli aveva fatto venire la voglia di eseguirla dal vivo, cosa che avrebbe fatto a partire dal 1997 fino ai giorni nostri in numerose occasioni.

Il brano era circolato quasi immediatamente nel mondo dei bootlegger (non quelli citati nella canzone) che avevano gridato al miracolo, paragonandola ai più grandi pezzi dell’intera carriera di Dylan. L’attesa era finita quando nel 1991 sul primo cofanetto della nascente Bootleg Series era apparsa Blind Willie McTell. Solo Dylan al pianoforte e Mark Knopfler alla chitarra acustica, ma i fan del nostro, sapevano, perché era spuntata fuori su qualche altro disco pirata, che ne esisteva almeno un’altra versione, elettrica e full band.



La canzone ascoltata nel 1991 era lenta e maestosa, intrisa dello stesso “basso ronzio in metri e sillabe” che Dylan aveva assorbito dalle canzoni dell’America quasi scomparsa tracciata nel blues, nel country e nelle tradizioni prebelliche. In particolare aveva quasi la stessa melodia del classico inciso da Louis Armstrong nel 1928 e poi da centinaia di altri artisti, St. James Infirmary (non a caso Dylan nel pezzo cita un “St. James Hotel” che potrebbe essere proprio l’ospedale di Louis Armstrong). McTell aveva poi composto il brano Dyin’ Crapshooters Blues che utilizza anch’esso la melodia di St. James Infirmary.

Ogni strofa del brano di Dylan terminava con il verso “nessuno sa cantare il blues come Blind Willie McTell”. In realtà il bluesman, nato nel 1898 e morto in povertà a soli 61 anni, a parte questo aspetto comune di tanti suoi colleghi, aveva ben poco musicalmente del classico bluesman.

Come sottolinea Michael Gray, autore di un ottimo libro su di lui (Hand Me My Travelin’ Shoes uncovers a legendary bluesman), “McTell fa esplodere ogni archetipo del musicista blues. Non è un primitivo ruggente, un donnaiolo spacciatore di diavoli alla Robert Johnson. Non ha perso la vista in una rissa in un juke-joint, o saltando su un treno merci. Non è fuggito nella musica scappando da dietro a un mulo usato come aratro nel Delta. Non è morto violentemente o giovane”. Abile suonatore della chitarra acustica dodici corde in stile finger piccina, McTell aveva uno stile vocale raffinato. Dice ancora Gray: “Possedeva una voce chiara e dal suono quasi dolce che ha spiazzato molti ascoltatori più abituati ai toni striduli di Robert Johnson o allo stile più implorante di Blind Lemon Jefferson, cantanti la cui presenza ultraterrena è palpabile anche attraverso la nebbia. Agli ascolti iniziali, infatti, McTell può sembrare quasi sbarazzino, sebbene la sua voce espressiva possieda sempre uno stoicismo ironico che parla di saggezza sudata, caparbietà, sofferenza sepolta – l’onnipresente basso ronzio del blues”.

McTell, come Johnson, divenne uno dei bluesmen più amati dalla giovane generazione rock di fine anni 60: la sua Statesboro Blues divenne ad esempio uno dei cavalli di battaglia della Allman Brothers Band.

Tornando al pezzo di Dylan, e ascoltandolo nella sua interezza, è probabile che Dylan non stesse davvero facendo un tributo al bluesman, ma lo stesse usando come riferimento a un mondo e a un popolo. Bob Dylan ama profondamente più di ogni altro genere musicale il blues che da sempre è parte fondante della sua espressione musicale. Che sia Blind Willie McTell o Robert Johnson il miglior cantante di blues poco importa in questo brano, è solo un verso nella canzone, che nessuno possa cantare il blues come Blind Willie McTell. Dov’è infatti la connessione tra la frase di Dylan su “potere, avidità e seme corruttibile” e una canzone come I got religion and I’m so glad?

Ci troviamo in un’altra America, ancora precedente a McTell stesso, quella dell’800 e dello schiavismo ancora imperante. Nel corso dei decenni successivi Dylan ne avrebbe fatto il suo linguaggio espressivo, immergendosi totalmente in quell’America, cercando lì le ragioni del tradimento della sua promessa e del caos che tutt’oggi la attraversa. Ma nel 1983, quando Blind Willie McTell fu registrata, era ancora una novità per lui. E’ uno dei motivi per cui la canzone quando fu possibile ascoltarla destò tanti interrogativi e scioccò tutti.

Quella che Dylan, con tono aspro e pieno di risentimento, ma anche di profondo dolore, descrive è una America piena di minaccia, di maledizioni e di morte: “Ho visto la freccia sullo stipite dire che questa terra è condannata da New Orleans a Gerusalemme. Viaggio attraverso il Texas orientale dove caddero molti martiri”. Il cantante sprofonda in una visione, vede la prima nave che portò dall’Africa gli uomini di colore condannati a essere venduti come schiavi, vede le grandi piantagioni e ode lo schioccare delle fruste sulla loro pelle, li sente gemere e ascolta la campana dei becchini.

E’, in definitiva, una canzone sulla piaga dello schiavismo e quanto di male esso ha causato all’America: “C’è un gruppo di persone incatenate sulla strada posso sentirli urlare come ribelli”. Poi ci sono loro, i ricchi e belli, i bianchi: “C’è una donna vicina al fiume con un bel giovane, vestito elegantemente ha whisky di contrabbando nella mano”.

La canzone finisce con un verso rivelatorio, che probabilmente riassume tutto il significato del brano: “Dio è nel suo paradiso e noi siamo ciò che era suo ma il potere, l’avidità e il seme corruttibile sembrano essere tutto ciò che c’è.

“Sto guardando fuori dalla finestra dell’Hotel St. James e non conosco nessuno che possa cantare il blues come Blind Willie McTell”. Il protagonista del brano guarda, con amarezza, un’America che è sprofondata nella vergogna, nel tradimento e il cui futuro non potrà che essere macchiato dal sangue. In questo modo, come è sempre stato, Bob Dylan si erge come il più grande e intenso cantore dell’America.

In attesa di Springtime in New York, il nuovo cofanetto della Bootleg Series in uscita i 17 settembre, l’etichetta di Jack White, leader e fondatore dei White Stripes, la Third Man Records, ha pubblicato in questi giorni un 45 giri contenente le due versioni full band del brano di cui una sola uscirà sul suddetto cofanetto.

Se quella acustica uscita nel 1991 mantiene tutt’oggi il suo fascino inalterato, nella sua desolante bellezza portandoci davanti a un vecchio motel abbandonato su una strada polverosa dove rotolano i cespugli portati dal vento quasi fossimo in un film di Wim Wenders, le due versioni elettriche aiutano a capire l’indecisione di Dylan su cosa pubblicare nel 1983, fino a non pubblicare niente.

E’ infatti l’accompagnamento alla slide dell’ex Rolling Stone Mick Taylor a dare fascino a queste versioni. La prima è leggermente più veloce, tutta dominata dalla sua chitarra, che regala tocchi di squisita classe e profondo legame con il blues. Taylor d’altro canto è stato uno dei massimi chitarristi bianchi di blues, fin da quando ancora ragazzino si esibiva con John Mayall. Questa versione si apre con un organo da chiesa, solenne e apocalittico, quasi a invocare gli spiriti che vagano nel pezzo. Dylan canta in forma smagliante, incalzante, senza prendere prigionieri e finisce con lo stesso organo che sfuma in un panorama di desolazione. La seconda take invece lascia Taylor più sullo sfondo perché Dylan, tra una strofa e l’altra, si lancia in pregnanti assolo di armonica nello stile lancinante dei brani incisi ai tempi di John Wesley Harding. Ma è un po’ incerto nel cantato e il pianoforte leggermente fuori tempo.

Non importa. Qualunque registrazione si scelga, Blind Willie McTell rimane probabilmente come la più accorata e sensibile dedica di Bob Dylan al suo paese, quell’America cresciuta tra “potere, avidità e seme corruttibile”, inchiodata “sullo stipite”, una “terra condannata da New Orleans a Gerusalemme”. Ma non siamo in fondo tutti così?

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