E’ bello svegliarsi alla mattina, in questi tempi tragici, e trovare una nuova canzone di Bob Dylan. Inedita, non nuova, perché registrate anni fa. E’ già due settimane che succede. Prima con la maestosa ed epica Murder Most Foul, 17 minuti di lacrime e sorrisi su una generazione, adesso con I Contain Multitudes, il cui titolo ovviamente è ripreso dal grande bardo americano Walt Whitman, che Dylan adora. Il titolo della canzone è infatti un riferimento a Il canto di me stesso, tratto da Foglie d’erba: “Forse che mi contraddico? Benissimo, allora vuol dire che mi contraddico / (Sono vasto, contengo moltitudini)”. E chi più di Bob Dylan si contraddice ormai da quasi 60 anni? Chi è l’uomo delle contraddizioni (apparenti perché Dylan è sempre stato fedele a se stesso, ha solo gettato in faccia a noi le nostre contraddizioni)?
E’ bello, ma anche triste. Viviamo in un mondo apocalittico, dove ogni certezza è saltata per aria e la gente muore, a migliaia ogni giorno. Non sappiamo nulla del nostro futuro. Dylan ci aveva già cantato questa condizione, in un’altra canzone apocalittica, secoli fa, A Hard Rain’s Gonna A-Fall ma noi non lo abbiamo ascoltato.
E’ triste perché mai prima d’ora Bob Dylan aveva affidato a Internet suoi brani inediti. Adesso lo fa, quasi come se non ci fosse più tempo a disposizione per pubblicare altri dischi. Non ci saranno più concerti, non ci saranno più dischi, sembra dirci. E allora apriamo i cassetti.
Ma è bello che senta il desiderio di comunicare con noi, di stare con noi, nell’unico modo che ha sempre usato. Con le canzoni. Non fa predicozzi come fanno i suoi colleghi, non lancia accuse, non moralizza, non si mette davanti a un iPhone per cantare canzoni dal divano di casa. Noi non lo vediamo, ma lui c’è.
Anche in questo pezzo, una lenta ballata malinconica e oscura, piena di mestizia (“Today, tomorrow, and yesterday, too the flowers are dyin’ like all things do“, oggi, domani e ieri i fiori stanno morendo come tutte le altre cose), pochi accordi di chitarra e una pedal steel, come un vecchio bluesman, tante citazioni. All the Young Dudes dei Mott the Hoople scritta da David Bowie, l’Edgar Alla Poe di The Tell-Tale Heart di cui riprese il titolo per un cofanetto di alcuni anni fa Tell Tale Sign, i preludi di Chopin e le sonate di Beethoven, il poeta irlandese Anthony Raftery (The Lass from Bally-na-Lee) e persino Indiana Jones. E dice: “Sono come Anna Frank e Indiana Jones, e quei cattivi ragazzi inglesi, i Rolling Stones”. E cita William Blake, altro sua grandissimo punto di riferimento: “Canto canzoni dell’esperienza come William Blake”. Quello che ha sempre fatto, cantare dell’esperienza reale, umana, piccola, povera, miserabile. Ma umana: “Most of the time My head is on straight Most of the time I’m strong enough not to hate I don’t build up illusion ‘till it makes me sick I ain’t afraid of confusion No matter how thick I can smile in the face Of mankind Don’t even remember What her lips felt like on mine”.
Con questi due ultimi pezzi forse ci libereremo per sempre dalla retorica del menestrello, del cantante di protesta, del visionario drogato che ci assillano da decenni. Di Blowin’ in the wind, di Like a Rolling Stone, di Mr. Tambourine Man. Forse qualcuno capirà che è ora di analizzare il Dylan post-Dylan, quello che va dal capolavoro Oh Mercy a oggi. E capiremo perché lui è un premio Nobel per la letteratura.
Viviamo i giorni dell’apocalisse, ma Bob Dylan c’è e per citare uno sciocco slogan di un secolo fa, “lotta insieme a noi”. E’ un altro giorno: “È una sensazione di fame irrequieta che non significa che nessuno ha torto quando tutto ciò che sto dicendo puoi dirlo altrettanto bene hai ragione dalla tua parte e io dalla mia siamo entrambi solo troppe mattine e mille chilometri indietro”. Come ha detto benissimo Claudio Tedesco  su Rolling Stone, “lui, che “dipinge paesaggio e dipinge nudi”, arriva a fare un brindisi all’uomo che divide il letto con la sua donna, o la sua ex, perché I Contain Multitudes è anche una canzone d’amore. Cantando l’individuo, Dylan canta la massa. In questa piccola canzone egli è l’individuo ed è la massa”.



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