Dopo la prima pena di morta eseguita con l’azoto, dagli Stati Uniti ci giungono altre notizie drammatiche per quanto riguarda le esecuzioni. Come si legge sul sito di SkyTg24, la pena di morte di un detenuto americano, il 73enne Thomas Creech, è stata interrotta in quanto il suo “boia” non riusciva a trovare la vena. All’ultimo minuto, nello stato dell’Idaho, si è quindi deciso di sospendere il tutto in quanto non è stato possibile somministrare al carcerato la soluzione letale entro il termine legale. Ad annunciarlo, come riferisce ancora SkyTg24.it, è stata l’amministrazione dello stesso istituto penitenziario dell’Idaho.



Il boia ha cercato per ben otto volte di posizionare una flebo sulle braccia o le gambe del detenuto, come ha detto il direttore dell’amministrazione penitenziaria, Josh Tewalt, ma dopo circa un’ora di tentativi si è deciso di stoppare l’esecuzione e la direzione della prigione ha stabilito che fosse impossibile “sottoporgli una flebo”, così come spiegato dall’Idaho Prison Service. “Non abbiamo ancora notizia di un calendario o di una misura di follow-up”, ha aggiunto, parlando di una eventuale nuova esecuzione, anche perchè prima serve un nuovo ordine, così come stabilito dalla legge.



BOIA NON TROVA LA VENA PER 8 VOLTE: PENA DI MORTE ANNULLATA NELL’IDAHO. “HO DOLORE ALLA GAMBA”

Brenda Rodriguez, giornalista di una televisione locale che ha assistito alla scena insieme ad altri esponenti dei media, ha spiegato che il detenuto pare non abbia provato alcun dolore grave, ma ad un certo punto avrebbe sentito “un po’ di dolore alle gambe”. Non è la prima volta che negli Stati Uniti si verifica qualcosa di simile.

Il 17 novembre di due anni fa, nel 2022, avvenne qualcosa di simile aKenneth Smith in Alabama. Il riferimento è al condannato che, come detto in apertura, è stato poi giustiziato con l’azoto a seguito dell’omicidio di una donna per ordine del marito. Il 25 gennaio scorso all’uomo è stato fatto inalare il gas, prima volta nella storia che è accaduto, provocando una indignazione generale con l’Onu che ha definito pratica “crudele, inumana e degradante”, paragonandola alla tortura.