La fuga di Evo Morales dalla Bolivia, prima in Messico e poi in Argentina dopo essere passato da Cuba, sembrava aver gettato il Paese nell’oblio, visto che i media internazionali, dopo aver seguito ora per ora tutta l’evoluzione post-elettorale, dominata dal supposto golpe perpetrato da forze militari quanto meno occulte (visto che il generale che aveva consigliato a Morales di andarsene, suo fedelissimo, si è ritirato immediatamente dopo l’insediamento di un Governo di transizione previsto dalla Costituzione), avevano spento i riflettori su di un Paese che per l’occasione tutti conoscevano “profondamente”.
I lettori del Sussidiario, specie attraverso l’intervista alla senatrice Cecilia Requena Zarate del CC (Comunidad Ciudadana primo partito dell’opposizione), hanno conosciuto una versione un po’ diversa e decisamente fuori dal coro sia sugli avvenimenti accaduti solo un mese fa che della situazione storica e sociale di una Bolivia sconosciuta dal refrain sparato specie, duole dirlo, da certe ali progressiste internazionali che hanno trasformato un personaggio politico reo di aver violato non solo una Costituzione da lui stesso editata, ma anche un referendum che gli imponeva di non presentarsi a elezioni e il successivo risultato altamente ammaestrato da brogli evidentissimi, in un martire profugo e vittima di una vicenda da lui stesso creata.
Spenti i riflettori, la vita in Bolivia è continuata tranquillamente, senza violenza e sopratutto con una data ormai definita: quella delle elezioni, che si terranno il 3 maggio prossimo con la partecipazione di tutto il fronte politico che comprende anche il Mas, il Partito di Evo Morales, che potrà aspirare a riconquistare la Presidenza, senza però riproporre un Morales che non ha più il diritto costituzionale di approdare a un’altra. Insomma, il cammino verso un ritorno a una democrazia costituzionale che le manifestazioni succedutesi all’irregolare vittoria del 20 ottobre scorso pretendevano rifiutando non solo il risultato frutto di un broglio, ma anche l’instaurazione di un Presidente eterno che poi è un modo gentile di definire un dittatore, sembra procedere.
Dove si possa giustificare la situazione appena descritta come “golpe” riesce un po’ difficile da capire, ma a complicare questa situazione di tranquillità ci ha pensato un curioso incidente diplomatico accaduto a La Paz, davanti alla sede dell’Ambasciata messicana dove sono ospitati personaggi politici legati a Evo Morales che si erano rifugiati al suo interno chiedendo asilo.
Secondo quanto sostenuto dalle autorità boliviane, venerdì 27 dicembre 4 agenti della Polizia Spagnola appartenenti al Gruppo Speciale di Operiazioni (GEO) incappucciati hanno tentato di penetrare all’interno della residenza dell’Ambasciatrice messicana per prelevare ex Ministri e politici boliviani e portarli nell’Ambasciata spagnola. Operazione non riuscita anche perché la sede è circondata da agenti della polizia locale, ma fatto che costituisce un’aperta violazione operata sul territorio boliviano da parte di forze dell’ordine straniere. Cosa che a noi italiani ricorda le violazioni operate dalle forze dell’ordine francesi sul nostro territorio per “rimpatriare” immigrati che erano riusciti a entrare clandestinamente in Francia.
L’attuale Presidente ad interim boliviana Jeanine Añez ha immediatamente applicato la Convenzione di Vienna ed espulso sia l’Ambasciatrice messicana che autorità diplomatiche spagnole, colpevoli di aver organizzato un’operazione rivelatasi una “chiara intromissione in fatti interni e un’ingerenza territoriale”.
Immediata la replica delle autorità dei due Paesi coinvolti che hanno espulso diplomatici boliviani perché, secondo la loro versione, le truppe spagnole erano andate a prendere l’incaricata commerciale diplomatica spagnola che si trovava nell’Ambasciata messicana dopo una riunione. “All’interno dell’Ambasciata messicana , ci rivela Cecilia Zarate “sono rifugiate circa una decina di autorità dell’ex Governo di Morales tra le quali persone che attualmente sono ricercate per essere le protagoniste della frode elettorale, ma anche Ramon Quintana, ministro della Presidenza e uomo legato ai servizi segreti, Hugo Moldis, anche lui legato ai servizi segreti cubani e la ministra della Cultura, accusata di aver facilitato le violenze post elettorali, visto che nella sua residenza sono state trovate armi e bombe molotov, insomma arsenali veri e propri”. “Nonostante il suo Governo abbia commesso degli errori – continua Cecilia – soprattutto di nepotismo e per aver conferito importanza a simboli religiosi lontani dal contesto politico, Jeanine Añez ha, pur tra molte difficoltà, portato a compimento una difficile transazione di poteri che ora si complica per i problemi diplomatici a livello internazionale e per una situazione economica difficile”.
Ma ormai la parte più importante del suo compito, quella della definizione delle elezioni, è compiuta e quindi il 3 maggio la Bolivia andrà al voto: i sondaggi per ora danno il candidato del Mas, Andronico Rodriguez, un giovane cocalero selezionato da Morales come suo successore, a un 23% seguito da Carlos Mesa, leader del partito dell’opposizione Comunidad Ciudadana con il 20% e dal responsabile del Movimento nazionalista rivoluzionario, formazione di estrema destra, Luis Fernando Camacho, con il 16%.