Il Governo ieri ha varato nuove misure a sostegno del potere d’acquisto delle famiglie per far fronte ai rincari delle utenze e dei carburanti. L’esecutivo, in particolare, ha prorogato la riduzione delle bollette dell’energia elettrica e del gas a favore dei nuclei familiari economicamente più disagiati, ha introdotto un contributo straordinario alle spese di riscaldamento e l’utilizzo della social card anche per l’acquisto di carburanti.
Gli interventi approvati da un lato certificano la riduzione del potere d’acquisto subita da molti nuclei famigliari negli ultimi 24 mesi con l’arrivo dell’inflazione, e dall’altro indicano che la crisi energetica non è risolta. I prezzi del gas e dell’elettricità sono sicuramente inferiori ai picchi raggiunti dodici mesi fa, ma rimangono due o tre volte più alti di quelli che si sono avuti mediamente nel decennio precedente. Dal 2010 al 2020 il prezzo medio del gas in Europa è stato di circa 21 euro a megawattora; oggi, prendendo a riferimento le scadenze a dodici mesi, è pari a circa 52 euro. Il prezzo dell’elettricità è passato da una media di 50 euro a megawattora dal 2010 al 2020, agli attuali 146 euro. Questi prezzi arrivano dopo un inverno eccezionalmente mite e un’estate che fino alla fine di luglio è stata più fresca degli anni recenti. Con temperature nella norma oggi saremmo in una situazione peggiore. Mancano poche settimane all’inizio della stagione termica, si avvicina la data dell’accensione dei caloriferi e si spera che il meteo sia clemente e che i mercati del gas e dell’energia non subiscano contraccolpi.
La crisi energetica colpisce il potere d’acquisto delle famiglie tanto più si scende nelle fasce di reddito perché le bollette e il carburante fanno parte delle voci di spesa meno comprimibili: l’uso degli elettrodomestici, il riscaldamento o la macchina che si usa per andare al lavoro. Oltre le famiglie ci sono le imprese, la cui competitività, sia dentro che soprattutto fuori dall’Europa, è minacciata dall’impossibile sfida di pareggiare, con risparmi su altre voci di costo, i minori costi energetici dei concorrenti. Per le imprese “energivore” la sfida è irrisolvibile e spesso riguarda i settori alla base dei sistemi industriali come la chimica o i materiali da costruzione.
In una fase di tassi di interesse crescenti la crisi energetica rischia di condurre a un circolo vizioso. Gli Stati non possono sussidiare, a debito, larghe fasce dell’economia e della società per lungo tempo. Possono, in proporzione alla solidità dei loro conti, introdurre misure tampone di durata e dimensione definita in attesa che la crisi si risolva strutturalmente. I tempi della “rivoluzione green”, sempre ammesso che sia economicamente sostenibile, sono lunghi e si scontrano con intere regioni che non hanno alcuna intenzione di intraprenderla per le prossime due generazioni.
Venerdì scorso Jp Morgan ha pubblicato una ricerca interessante sul settore energetico. La banca americana prevede una normalizzazione dei prezzi del petrolio su livelli più alti, crede che l’energia pulita non sia abbastanza matura per essere catturata e distribuita ai consumatori finali e si aspetta che questo porti a “una maggiore pressione sui combustibili tradizionali per riempire il deficit (energetico) e soddisfare la crescente domanda dei Paesi emergenti”. La competizione per i combustibili tradizionali è più serrata perché i Paesi in via di sviluppo vogliono crescere e migliorare la condizione di vita dei propri cittadini. Continua Jp Morgan: “senza crescenti investimenti in petrolio e gas, si rischiano deficit energetici e inflazione acuta nel settore delle materie prime”; “questo potrebbe portare a molteplici crisi energetiche da petrolio in questo decennio e potenzialmente crisi del gas molto più severe di quelle viste in Europa nel 2022”.
L’Europa è il termine di paragone dei rischi energetici attuali. Le sfide energetiche del prossimo decennio non possono essere risolte dalla “transizione energetica”; senza investimenti in energie tradizionali si rischiano inflazione acuta e crisi energetiche che, senza capacità di bilancio, possono essere risolte solo con i razionamenti. Oltre le misure tampone, l’azione dei governi si misura all’interno di questo quadro.
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