È arrivata la rappresaglia, o vendetta come l’hanno definita alcuni, da parte russa per l’attacco al ponte di Kerch dell’altro giorno. Missili russi hanno colpito la capitale dell’Ucraina, facendo morti e feriti. Colpite anche Leopoli, Dnipro e Odessa. Intanto il ponte che collega la Crimea all’Ucraina, indispensabile per rifornire le truppe russe, ma soprattutto dall’alto valore simbolico, è già stato praticamente rimesso un funzione, anche se intorno all’episodio restano ancora molte domande inevase. Il New York Times in un articolo riporta esplicitamente che a organizzare l’attentato è stata l’intelligence ucraina, quasi a voler sottolineare come gli americani non abbiano parte nella vicenda. Perché questa presa di distanze da Zelensky?



“Gli Stati Uniti si trovano in palese difficoltà, Zelensky sembra sfuggire sempre di più al loro controllo, forse perché si è convinto che sta per conseguire la sconfitta di Mosca” ci ha detto  il generale Marco Bertolinigià comandante del Comando operativo di vertice interforze e della Brigata Folgore in numerosi teatri di guerra, dalla Somalia al Kosovo e all’Afghanistan, “e questo non fa ben sperare per una possibile conclusione del conflitto, anzi”.



L’attentato al ponte di Kerch solleva dubbi: secondo i russi, il camion che poi è esploso era stato perquisito. Inoltre per guidare un camion ci vuole un autista: possibile che gli ucraini siano arrivati ai livelli dell’estremismo islamico, ai kamikaze?

All’inizio si era parlato di un missile, adesso gli stessi russi dicono che a esplodere è stato un camion che aveva superato i loro controlli. Lei ha fatto una affermazione interessante: se era un camion bomba, per guidarlo ci vuole un kamikaze, e un kamikaze non è qualcosa che appartiene alla cultura europea.

Anche se nel 1905, durante i primi moti rivoluzionari, proprio in Russia si diffusero attentati kamikaze. Una ragazza di poco più di vent’anni, per esempio, con cinture di nitroglicerina si fece esplodere nella sede della polizia di San Pietroburgo, mentre una carrozza venne portata davanti alla residenza del primo ministro Stolypin, che comunque uscì illeso dall’attentato, benché rimanessero uccisi gli attentatori e una trentina di persone del tutto estranee.



Sì, però stiamo parlando di oltre un secolo fa. In fondo tutti gli attentati ai sovrani di quell’epoca erano attentati kamikaze. Personalmente penso piuttosto a quei movimenti radicali islamici che combattono la Russia da sempre, nel Caucaso e in Siria. Il vero nemico dell’Isis in Siria è Mosca. Potrebbe esserci una sorta di consulenza da parte loro che ha portato a questo attentato.

Mosca ha già reagito pesantemente, bombardando Kiev e Odessa. C’era da aspettarselo?

Ovviamente, si è trattata di una ritorsione, neppure così pesante. L’attentato al ponte è stato un colpo importante. Con il Nordstream 2 si è separata la Russia dall’Europa dal punto di vista energetico, con questo attentato si è fatto un altro passo dal punto di vista politico. Si è separata la Russia non tanto dall’Europa, quanto da una sua provincia, la Crimea. Questo dal punto di vista territoriale Mosca non può permetterlo, si è toccato un altro nervo scoperto. La reazione russa era prevedibile.

Questo fa presupporre che qualunque armistizio si possa raggiungere nei territori ucraini annessi dalla Russia ci sarà una guerra partigiana che potrà durare anche decenni?

Purtroppo sì. È chiaro che questo attacco è una dichiarazione di guerra totale, a prescindere da come finirà il conflitto. Ci sarà sempre una resistenza.

Una lotta partigiana?

Una lotta partigiana è anche quella dell’Isis contro i russi, sono termini molto ideologici. La realtà è una prospettiva di una guerra al terrorismo come quella che c’è stata in Cecenia e in Ossezia. Conterà molto l’atteggiamento degli americani.

Gli Stati Uniti hanno ammonito Kiev per questo attentato; Zelensky giovedì aveva chiesto un attacco nucleare preventivo della Nato alla Russia. Si può dire che gli Usa stiano perdendo il controllo della situazione, con uno Zelensky che vede la vittoria vicina?

Gli americani hanno conseguito degli obbiettivi importanti. Hanno separato la Russia dall’Europa dal punto di vista energetico, togliendo così un’arma di pressione sull’Europa, e saranno loro che regoleranno i rifornimenti di idrocarburi. Era uno dei loro obiettivi e lo hanno conseguito. Adesso forse stanno pensando di cambiare strada, ma si trovano ad avere a che fare con uno Zelensky che a inizio guerra avevano frenato quando mandava delegazioni in Bielorussia e Turchia, poi gli hanno mandato armi e la guerra è andata avanti con migliaia di morti. Evidentemente Zelensky adesso ci crede. Ha preso decisioni folli, come il decreto che vieta trattative con Putin. È andato oltre le aspettative degli Usa e adesso si trovano  a cercare di gestirlo nel momento in cui i russi cercano una via di uscita.

Lo stesso scontro tra falchi e colombe è in corso anche a Mosca. Paradossalmente Putin vorrebbe un negoziato, ma ha addosso persone che vogliono una guerra totale. È così?

Quello che succede al Cremlino è difficile da capire, però sin dall’inizio Putin ha sempre puntato a un negoziato, a una fine concordata delle ostilità. Però, come succede sempre quando le guerre hanno delle sfumature ideologiche, addirittura religiose, è chiaro che ci si divide: da una parte, i duri e puri che vogliono continuare e, dall’altra, i moderati che cercano una soluzione. Putin appartiene ai moderati, anche se l’Occidente lo dipinge come un macellaio. Vedremo. Forse al Cremlino ci sarà una resa dei conti.

(Paolo Vites)

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