Nelle prime ore di oggi, venerdì, Gaza è stata sottoposta a intensi bombardamenti da parte dell’esercito israeliano. Dal 7 ottobre già 300mila persone sono state costrette a lasciare le loro case, distrutte dalla reazione dell’esercito all’attacco di Hamas. Israele incassa l’appoggio degli Stati Uniti, il cui segretario di Stato Anthony Blinken ha reso visita al primo ministro Netanyahu, ma, in attesa di decidere quale sarà il futuro di Gaza, destinata secondo qualche ufficiale israeliano a diventare un cumulo di macerie, deve ancora risolvere la questione degli ostaggi, la vera arma di cui oggi dispone Hamas in un conflitto che si sta inasprendo.
L’organizzazione palestinese che ha promosso e realizzato l’imponente attacco del 7 ottobre ha chiamato a raccolta le opinioni pubbliche arabe, chiedendo che riempiano le piazze oggi per dare un segnale anche ai Governi dei loro Paesi, affinché non dimentichino la questione palestinese. Anzi, l’operazione Alluvione Al Aqsa, che secondo gli americani potrebbe non essere stata preparata insieme all’Iran, sarebbe stata un avvertimento anche per Teheran, perché non scegliesse, come altri, la strada degli accordi di pacificazione con gli altri Paesi della zona, abbandonando così la causa palestinese.
Per gli abitanti di Gaza, intanto, racconta da Amman Filippo Landi, già corrispondente Rai a Gerusalemme e poi inviato di TG1 Esteri, resta aperta la possibilità di apertura di un corridoio umanitario verso la Giordania. Un’ipotesi che verrà verificata in queste ore.
Blinken in visita da Netanyahu, Hamas che chiama a raccolta le opinioni pubbliche arabe, Israele che attacca gli aeroporti di Damasco e Aleppo in Siria: nuovi segnali di un possibile allargamento del conflitto?
Un allargamento sì, ma non tanto militare, quanto politico e umanitario. Venerdì (oggi, nda) dopo la preghiera musulmana di metà giornata i leader di Hamas hanno invitato i fedeli a esprimere in piazza la loro solidarietà con i palestinesi di Gaza. Un richiamo per verificare se l’opinione pubblica araba, che nel chiuso delle proprie case è incollata ad Al Jazeera per vedere cosa accade a Gaza, intenda manifestare la sua attenzione alla vicenda anche con una esplicita solidarietà a chi oggi è sotto bombardamenti. La manifestazione dovrebbe essere un monito, un modo per esercitare una pressione sui regimi di Egitto, Bahrein, Giordania, Arabia Saudita, Emirati Arabi, perché stiano bene attenti a non appoggiare nei fatti una soluzione di allontanamento della popolazione palestinese da Gaza.
È in corso anche un’iniziativa umanitaria per salvare la gente di Gaza: in cosa consiste?
L’arrivo ad Amman, in queste ore, di Blinken e contemporaneamente del presidente dell’Autorità palestinese Abu Mazen, potrà chiarire se il cosiddetto corridoio umanitario proposto dagli Usa si risolverà con lo spostamento della popolazione di Gaza in parte in Giordania e in parte in Cisgiordania. L’uscita dei palestinesi dal confine più vicino, l’Egitto, viene impedita dalla volontà egiziana di non avere altre centinaia di migliaia di palestinesi sul suo territorio: per Al Sisi potrebbero destabilizzare la situazione interna.
Blinken in Israele, i Paesi arabi sollecitati a prendere una posizione, l’interesse dell’Iran e anche della Russia, tanto che sono circolati rumors su un possibile contributo della Wagner alla preparazione dell’attacco di Hamas. Il conflitto è un luogo di scontro tra le superpotenze?
Il confronto tra le superpotenze in territorio mediorientale c’è già stato e ha riguardato la Siria. La situazione di Gaza è completamente diversa. Mi sembra evidente che ci sia una operazione di propaganda di coloro che sostengono la necessità di un intervento militare a tutto campo a Gaza, così come lo sostengono riguardo all’Ucraina, per giustificare quello che stanno mettendo in atto. Mi riferisco soprattutto agli americani. Desta molto più interesse, però, il rapporto con l’Iran, anche se gli stessi americani hanno detto che non è stato registrato nessun rapporto diretto tra Hamas e Teheran riguardo all’operazione del 7 ottobre. Anzi, questa operazione sarebbe stata anche un ammonimento all’Iran perché non metta da parte Hamas e i palestinesi per raggiungere nuove intese sulla linea degli accordi avviati quest’anno con l’Arabia Saudita. Da una parte l’Iran non ha nessun interesse a essere coinvolto in un nuovo conflitto e dall’altra gli Usa non vogliono commettere nei confronti dell’Iran passi che possano innescare una situazione poi difficilmente controllabile.
Come giudica l’opinione pubblica araba l’attacco scatenato da Hamas: ne prendono le distanze, lo giudicano una reazione quasi inevitabile vista la politica israeliana nei confronti dei palestinesi o che altro?
È evidente, nella sostanza, un giudizio di inevitabilità di quello che è accaduto, mentre nella forma c’è un rifiuto, ci sono delle perplessità nei confronti delle stragi compiute a ridosso del confine di Gaza. Che una reazione ci sarebbe stata di fronte al nulla della diplomazia occidentale (e non solo quella) era considerato inevitabile: a fronte di quello che è accaduto il 7 ottobre ci sono mesi e anni di notizie e immagini che le televisioni e i giornali in Occidente non hanno dato perché non le consideravano importanti. Uno stillicidio di morti, di arresti, di allargamenti delle colonie, di invasioni della Spianata delle Moschee. La preoccupazione adesso riguarda la possibilità che venga portato a compimento, com’è nelle intenzioni (così sembra) dei governanti israeliani, il piano di svuotare Gaza di due milioni di persone, con il rischio di destabilizzare i Paesi in cui arrivano e di generare nuova violenza. Almeno una parte di loro non accetteranno di essere spostati come pacchi postali.
Il piano di Israele è di evacuare oltre due milioni di persone?
A Gaza ci sono 300mila persone su 2 milioni e 300mila che hanno dovuto abbandonare le loro case perché sono state distrutte, demolite dai bombardamenti. Si sono dovute spostare in altri luoghi della città, in particolare nelle scuole. Se continua la demolizione sistematica di Gaza queste persone saranno costrette ad andare via, tanto più che si prospetta l’ingresso dei soldati e dei carri armati. Sta già succedendo. Ci sono ufficiali dell’esercito israeliano che dicono che Gaza deve essere ridotta a un cumulo di tende.
Qual è il grado di consenso che riscuote Hamas tra i palestinesi? C’è una parte della popolazione che non condivide la loro linea? Molti dicono che questa in realtà è una guerra Israele-Hamas e non Israele-Palestina: è una lettura che può essere condivisa?
Quello che si vede a Gaza non è una guerra di Israele contro Hamas, è una distruzione sistematica delle abitazioni e di tutto quello che rende la vita vivibile. Gli attacchi aerei, dell’artiglieria e delle navi israeliane non fanno distinzioni di nessuno tipo. La sensazione è che Israele voglia allontanare gli abitanti palestinesi, sconfiggere Hamas e rioccupare questa striscia di terra. Riguardo alla Cisgiordania c’è il timore che certi discorsi che ormai da un anno si facevano nella destra israeliana siano giunti a una svolta possibile: dopo Gaza anche la Cisgiordania potrebbe essere occupata militarmente.
Il piano sarebbe di allontanare i palestinesi da Gaza e dalla Cisgiordania?
Nel caso di Gaza sì e l’allontanamento è già in corso. Nel caso della Cisgiordania è possibile che avvenga una rioccupazione militare: il passaggio successivo potrà essere la permanenza dei palestinesi in quella zona o anche il loro passaggio in Giordania. Per questo c’è grande attesa anche per quello che Abu Mazen potrà fare, da cui dipende anche il suo futuro politico.
In Israele è stato formato un governo di unità nazionale con l’ingresso del generale Gantz, gradito agli americani. Come viene giudicato l’operato del governo Netanyahu per quanto riguarda la questione palestinese? Gli viene attribuita la responsabilità di aver portato a questo punto il livello dello scontro?
Le voci critiche verso Netanyahu e la sua politica si sono levate il giorno stesso dell’attacco, facendo notare che la sua politica in questi anni lo ha fatto sprofondare nelle sabbie mobili. L’idea che si potessero mettere da parte i palestinesi e le loro aspirazioni per risolvere la situazione con accordi, così come Trump aveva auspicato, con i Paesi arabi, dal punto di vista politico si è rivelato assolutamente fragile. Il governo di unità nazionale, poi, non vede al suo interno tutti i leader. Lapid, che guida il maggiore partito dell’opposizione, non è entrato nel governo perché aveva posto come condizione l’uscita dei due leader dell’estrema destra, Smotrich e Ben Gvir: Netanyahu si è rifiutato.
È un governo di unità nazionale fino a un certo punto?
Da questo punto di vista è un governo zoppo, che non risolve i problemi di fondo della politica israeliana.
Hamas, a parte l’attacco iniziale, ha la forza per agire ancora militarmente?
L’unica carta da giocare è quella degli ostaggi. Hanno liberato una donna e due bambini che erano stati catturati sabato rispondendo così alle notizie di decapitazione di altri bambini. Hamas ribadirà che l’operazione messa in atto sabato mirava alla cattura di israeliani per poi puntare allo scambio di prigionieri. Questa è la loro vera carta. Più quella di far vedere agli Stati arabi che c’è un’opinione pubblica che non intende disinteressarsi del destino dei 2 milioni e 300mila abitanti di Gaza.
(Paolo Rossetti)
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