Due giorni fa, mentre sono trascorse solo poche ore dalla ripresa dei bombardamenti israeliani su Gaza, il primo ministro Netanyahu dà il via libera alla pubblicazione di uno stringato comunicato stampa, nel quale si fa riferimento a due partiti. “Likud e Otzma Yehudit hanno raggiunto l’accordo sul ritorno del partito Otzma Yehudit nel governo di Israele oggi stesso e i ministri di Otzma Yehudit nella compagine di governo”.
Aver fatto un riferimento esplicito al ruolo dei “ministri” vuole sgomberare il terreno da ogni dubbio: Ben-Gvir non darà un appoggio esterno al governo Netanyahu, sarà invece per lui un ritorno pieno, dopo l’uscita da quello stesso governo nel gennaio scorso. Questo vale soprattutto per Itamar Ben-Gvir, leader del partito Otzma Yehudit (Potere ebraico), che torna così a guidare il ministero della Sicurezza nazionale.
Un ritorno non scontato, in quella posizione. In quelle stesse ore, infatti, mentre Netanyahu, primo ministro e leader del partito di maggioranza Likud, invita Ben-Gvir a rientrare nel governo e a sostenerlo alla Knesset con i preziosi voti dei suoi parlamentari, l’avvocato generale dello Stato invita alla prudenza. Sul capo dell’ex ministro pendono una serie di indagini della polizia giudiziaria, che consiglierebbero di non porlo nella delicata posizione di responsabile politico delle Forze di polizia israeliane.
Netanyahu invece tira dritto. Ha deciso e soprattutto ha già compiuto quegli atti che sono la premessa per recuperare in parlamento, con i voti dei deputati di Ben-Gvir, la maggioranza che lo sostiene dopo le ultime elezioni del 1° novembre 2022.
Nel gennaio scorso la rottura era stata sull’adesione del governo Netanyahu al cessate il fuoco a Gaza. Netanyahu riesce a strappare ai mediatori internazionali due fasi di quella tregua sul terreno. La prima concentrata sullo scambio tra ostaggi israeliani e prigionieri palestinesi, la seconda con trattative sul futuro di Gaza e rilascio degli ultimi ostaggi israeliani. Ben-Gvir ha paura dell’esito di questa seconda fase, cioè un accordo politico che spazzi via i proclami di una vittoria militare su Hamas.
Ben-Gvir lascia il governo, ma non lo fa cadere in parlamento. Teme il sostegno di qualche partito dell’opposizione dal peso politico condizionante, teme ancor di più la mancata approvazione della legge di bilancio, lo scioglimento del parlamento e nuove elezioni.
Tutto questo lo sa anche Netanyahu. Inizia così una lunga manovra di ricucitura politica che diventa sempre più veloce. Dopo la destituzione del ministro della Difesa Yoav Gallant, in odore di voler primeggiare dentro il Likud con lo stesso Netanyahu e di considerare la liberazione degli ostaggi preminente e la distruzione di Hamas ormai irrealistica, Netanyahu compie un atto più volte richiesto da Ben-Gvir. Dopo la prima fase della tregua, con lo scambio di ostaggi e prigionieri e il transito degli aiuti umanitari, il primo ministro israeliano ordina la chiusura totale dei valichi di frontiera di Gaza al passaggio di qualsiasi sostegno umanitario alla popolazione civile.
Da due settimane non il cibo, non l’acqua, non le medicine, non il carburante per gli ospedali e le cucine da campo entrano a Gaza. Tutto questo con il consenso americano e lo sconcerto ed il silenzio degli stati europei. Nonostante l’evidenza di una decisione che avvalora il compiersi di crimini di guerra.
Quindi l’atto politico più importante. Netanyahu rinnega i termini dell’accordo di gennaio con Hamas, non ci sarà nessuna fase due della tregua, e chiede agli emissari del presidente Trump di negoziare nuovamente, ma solo la liberazione di tutti gli ostaggi israeliani. Poi tutto si accelera, e va verso il precipizio, e per qualcuno verso la giusta direzione. Hamas rifiuta di rilasciare gli ostaggi rimasti senza una trattativa sul futuro di Gaza, Netanyahu invita la popolazione palestinese ad “allontanarsi” dai miliziani di Hamas, i “primi” bombardamenti invece, ovviamente, in tre ore uccidono più di 400 persone, la metà bambini, e i carri armati tornano a dividere in due Gaza.
Netanyahu telefona direttamente a Ben-Gvir e fa telefonare dai suoi avvocati ai giudici per dire che non potrà testimoniare quel giorno al processo per l’accusa di corruzione in corso in Israele. Anche il capo dello Shin Bet, il servizio segreto interno, viene destituito dal primo ministro, ma allo stesso tempo, per rassicurare tutti, viene messo in circolazione un dossier dei servizi segreti sulle possibili mosse di Hamas.
A Gaza, intanto, si continua a fare la conta dei morti e dei feriti. In Israele, invece, ai parenti degli ostaggi israeliani, non rimane altro che tornare in strada a chiedere di fermare nuovamente la guerra.
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