Tornano a farsi sentire le bombe in Siria. Il presidente americano Joe Biden ha ordinato raid aerei nella Siria dell’est, poco lontano dai confini con l’Iraq, in una zona dove si trovano milizie affiliate al Corpo delle Guardie della rivoluzione iraniana. Secondo il comando statunitense “sono state colpite infrastrutture militari”, non è stato però comunicato se ci siano state o no vittime. Motivo ufficiale dell’incursione, che riporta dopo lungo tempo in primo piano la presenza americana in Siria che sembrava ormai un ricordo a parte qualche centinaio di soldati a protezione dei giacimenti petroliferi nell’est, l’attacco di gruppi filo-iraniani a ferragosto a una base militare che ospita truppe americane.



Non è un buon segnale, potrebbe dar vita a conseguenze gravi in quello scontro tra Stati Uniti e Iran che dal punto di vista militare si tiene per adesso in Siria: “Il paese è oggetto di molteplici azioni di guerra” ci ha detto in questa intervista il generale Carlo Jeanesperto di strategia, docente e opinionista. “Anche Israele ha colpito diverse volte proprio nella stessa zona presa di mira dagli americani, mentre i turchi continuano ad attaccare i curdi nella striscia a nord ovest del Paese. Non dimentichiamo poi la massiccia presenza russa”.



In questo quadro, suscita scalpore la notizia confermata dallo stesso presidente turco di un prossimo incontro di Erdogan con il presidente siriano Assad. Sarebbe la prima volta dal 2011, quando tra i due Paesi è calata una dura ostilità.

Gli americani sembravano essersi eclissati dalla Siria, almeno dal punto di vista operativo. Adesso invece hanno dato vita a un pesante bombardamento in una regione dove si trovano milizie filo-iraniane. Ci saranno conseguenze?

Gli americani non sono mai andati via del tutto dalla Siria. Lo dimostra il fatto che lo scorso aprile hanno anzi ampliato la loro presenza nel nord e nel nordest del Paese, precisamente nelle basi di Tabqa nella regione di Raqqa e a Manbij nella regione di Aleppo.



Non si tratta di zone dove si trovano anche basi militari russe?

Esattamente. Le stese due basi erano gestite in precedenza dalla coalizione anti-Isis e poi dismesse dopo la spartizione tra Usa e Russia. Questi ultimi hanno anche loro ampliato la presenza nella zona di Qamishli e Hasake, in zone limitrofe a quelle dove sono stati dispiegati i militari Usa.

In sostanza un Paese in cui si mischiano basi militari russe, statunitensi, turche, del Partito dei lavoratori curdi e del governo siriano. Non è certo un quadro tranquillo.

Certamente no. È il risultato di una guerra durata dieci anni che ha lasciato la Siria alla mercé di chiunque vi abbia messo piede.

La presenza iraniana è sempre importante come lo è stata durante la guerra contro l’Isis?

La presenza iraniana è sempre stata importante, in Siria vivono molti sciiti e la stessa famiglia del presidente Assad è sciita. Non dimentichiamo poi la presenza degli Hezbollah che provengono dal Libano, anche loro filo-iraniani, contro cui Israele ha fatto e continua a fare bombardamenti aerei.

Nonostante la situazione, è stato annunciato il primo incontro personale tra Erdogan e Assad, cosa che non avveniva da prima del 2011. Siria e Turchia in tutti questi anni sono stati praticamente in stato di guerra. Sarà una svolta?

No, non credo proprio. I due per tutti questi anni si sono visti come il fumo negli occhi, Erdogan ha sostenuto in modo evidente l’Isis nella speranza di rovesciare Assad. La Siria in questi anni ha considerato la Turchia un paese invasore.

Non pensa ci saranno dei punti di contatto, di dialogo?

Come ho detto, non vedo alcuna possibilità. Erdogan, lo vediamo con l’Ucraina, si diverte a fare il diplomatico per ottenere solo concessioni a suo favore. Probabilmente si accorderanno per uno scambio di prigionieri o di qualche località, ma la Turchia non rinuncerà alla sua presenza nella regione di Idlib così come all’idea di inseguire il Pkk nella zona siriana abitata dai curdi.

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