Si apre ufficialmente il “caso Bonafede” all’interno del Governo dopo che questa mattina il Centrodestra ha presentato in maniera compatta la mozione di sfiducia contro il Ministro della Giustizia dopo le parole lanciate in diretta tv a “Non è L’Arena” domenica scorsa da parte del neo consigliere Csm, il giudice Nino Di Matteo. «La mozione di sfiducia per Bonafede è stata depositata in Senato, con le firme di tutto il centrodestra, perché il ministro ha mostrato evidente incapacità e inadeguatezza in un settore così delicato, come quello delle carceri», ha spiegato in una conferenza stampa in Parlamento il leader della Lega Matteo Salvini.



Il Governo Conte, già alle prese con il nodo ben più intricato del Decreto Maggio fermo per scontri interni alla maggioranza (oggi convocata alle 15 Italia Viva a Palazzo Chigi, ndr) e impegnato a dirimere la questione “statalizzazione” dopo l’intervista semi-smentita del vice segretario Pd Andrea Orlando, ora si appresta a dover trattare anche il “caso Bonafede”, tra l’altro capodelegazione M5s nel Governo dopo l’uscita di scena da capo politico di Luigi Di Maio. «Non sta a me – ha aggiunto il leader della Lega – ricordare le rivolte nelle carceri, con morti e feriti, la scarcerazione, siamo arrivati a più di 400, fra mafiosi, assassini, delinquenti usciti dalle carceri nell’inattività, quantomeno, del ministero della Giustizia».



BONAFEDE, LA DIFESA IN SENATO

Di Matteo, pm della trattativa “Stato-Mafia” e tra i più autorevoli in Italia nella lotta alla mafia siciliana, da Giletti domenica scorsa ha rivelato che nel 2018 il Ministro Bonafede prima gli offrì il ruolo di nuovo responsabile Dap (gestione delle carceri, tra i ruoli più prestigiosi per la magistratura) poi però, 48 ore dopo, a seguito di presunte lamentele da parte di diversi boss mafiosi, l’offerta venne ritirata con proposta su altro incarico. Nell’intervista di ieri a Repubblica, lo stesso pm ha rilanciato che non fu tanto Bonafede – forse – a cambiare idea, ma che «probabilmente qualcuno intervenne» per far cambiare la nomina. Il caso ha assunto enorme rilevanza politica, in aggiunta al tema – non correlato direttamente – delle diverse scarcerazioni di boss mafiosi avvenute nelle scorse settimane.



Oggi al Senato, dopo il Question Time di ieri alla Camera, il Ministro della Giustizia ha ribadito la sua linea del tutto innocentista «E’ totalmente infondato il collegamento tra i fatti relativi alla mancata nomina di Nino Di Matteo al Dap nel 2018 e le scarcerazioni di cui si è parlato in questi giorni, frutto di decisioni di magistrati che hanno applicato leggi previgenti che nessuno aveva mai modificato fino al decreto legge approvato la scorsa settimana da questo governo, con il quale si stabilisce che, rispetto alle istanze di scarcerazione, è obbligatorio il parere della Direzione Nazionale e delle Direzioni distrettuali Antimafia».

UN PROBLEMA PER IL GOVERNO

Secondo Salvini e il Centrodestra però, i motivi per chiederne le dimissioni ci sono eccome: «Non entriamo poi nel merito, da garantista, delle dichiarazioni del giudice Di Matteo che hanno sollevato ombre preoccupanti sulle nomine da parte del ministro Bonafede, su quello che è accaduto, su pressioni o su omissioni, io non so se abbia ragione il giudice Di Matteo o se abbia ragione il ministro Bonafede, entrambi non possono aver ragione». Insomma, il tema della mozione riguarda più le scarcerazioni che non le parole di Di Matteo, come ricorda anche la Meloni «l’Italia non può permettersi di tenere in carica un ministro che con le sue scelte scellerate ha consentito la scarcerazione di mafiosi, boss compresi, vanificando il lavoro di migliaia di servitori dello Stato e umiliando le famiglie delle vittime della mafia».

Il tema però riveste particolare importanza politica perché già oggi nel vertice tra Italia Viva e Conte gli esponenti renziani metteranno sul piatto dei punti “non digeriti” proprio l’azione del Ministro Bonafede, dal tema prescrizione fino alle scarcerazioni: «Iv nell’accogliere l’invito rilancia la sfida ponendo il “problema giustizia” e la “questione di Bonafede” verso il quale già sulla prescrizione aveva minacciato la sfiducia, e rilanciando sulle misure del decreto di maggio» ha rivelato stamane un alto dirigente Pd all’Ansa.