Prima paga te stesso. Una semplice regola che, tralasciando i molti riferimenti bibliografici o consigli di presunti (forse ricchissimi) guru, trova la sua correttezza in ambito di educazione finanziaria. Sostanzialmente, appena incassato il ricavo, nell’immediato, si deve disporre un trasferimento pari a una somma che rappresenta la quota da risparmiare e, poi, dimenticare tale importo. Il restante saldo detenuto, invece, sarà oggetto di gestione in base alle varie esigenze e, magari, anche a un eventuale e ulteriore accantonamento con finalità di protezione e investimento.
Se tutto ciò può essere coerente e vantaggioso per il nostro risparmio figuriamoci in dote alla gestione di cassa di un’azienda e, talvolta, alle cosiddette finanze di uno Stato. In questo ultimo caso, ieri, a fare da “caso” è stata la Germania che, attraverso quanto riportato dall’agenzia Bloomberg, ha tagliato le emissioni del suo debito statale previste per l’ultimo trimestre dell’anno per un importo pari a 31 miliardi di euro. Come si apprende, la decisione è giunta al fine di poter ridurre le misure intraprese in precedenza in sede di contrasto al caro-energia, ma, questo “taglio” non fa nient’altro che seguire quanto già avvenuto nel corso dell’attuale trimestre portando a una complessiva riduzione di emissioni di titoli di Stato tedeschi (rif. Bund) per un ammontare complessivo di 45 miliardi entro fine anno.
Una nota molto importante è quella concernente l’intero stock del debito tedesco che, giunto a 500 miliardi di euro, vedrà il 2023 come l’anno in cui si è raggiunta la somma record sia rispetto ai 449 miliardi dello scorso anno che ai 483 miliardi del 2021.
Mancando la valorizzazione di questi depennati collocamenti, le casse della Germania, godranno sicuramente di un risparmio in conto capitale alla voce interessi: oggi, infatti, il livello raggiunto dal Bund decennale ha raggiunto quota 2,8% ovvero i valori del 2011. Una soglia che fa riflettere soprattutto perché direttamente correlata alla annosa tematica dello “spread” rispetto ai nostri Btp.
Disturba, almeno in chi scrive, leggere l’enfasi e la velata voglia di gridare in coloro che commentano in queste ultime giornate l’incremento quotidiano del noto differenziale. La soglia dei 200 punti è vicina e ai molti osservatori e impavidi cronisti sembra poter rappresentare un baratro di natura esistenziale. Che lo spread possa subire un incremento o meno non è rilevante, ma, invece, ciò che deve particolarmente preoccupare è il cosiddetto quantum sottostante a questa differenza. Nella pratica (che molti sembrano dimenticare): uno spread può essere identico in talune fasi storiche, ma l’entità dei rispettivi rendimenti può, invece, essere significativamente diversa.
Ad esempio, guardando alle attuali remunerazioni dei titoli decennali italiani, il rendimento si posiziona a circa il 4,70% che, seppur elevato, riporta ai valori riscontrabili nell’ultima parte dello scorso anno. In tale circostanza, però, l’ammontare del famigerato spread era ben oltre i 200 punti e, a ottobre, aveva addirittura gravitato attorno a quota 250. Pertanto, semplicisticamente: nonostante l’uguaglianza di rendimento, “quello spread” registrava un ammontare assai diverso. Il motivo? Una banale e semplice motivazione unicamente riconducibile al minore rendimento del Bund tedesco che, un anno fa, di questi tempi, vedeva un ritorno in dote agli investitori di un “solo” 2,20%.
Ragionando solamente in termini di spread, può capitare (praticamente spesso) che il messaggio non giunga nella maniera più opportuna soprattutto al pubblico poco affine alla materia finanziaria. Se parlare di spread deve rappresentare una forma sintetica per esprimere un rischio imminente (magari in ricordo di anni orsono), allora siamo fuori strada. A tale scopo, quindi, vogliamo provocare i cronici cronisti avvezzi al funesto differenziale sottoponendo la comparazione tra titoli di Stato tedeschi e quelli ellenici che, oggi, registra quota 147 punti. Parallelamente, però, sempre con riferimento al decennale tedesco affianchiamo i titoli statunitensi che, complice i loro elevati livelli finora raggiunti, favoriscono il riscontro di uno spread a 174 punti.
Ennesimo quesito: la Grecia è quindi più “sicura” (affidabile, forte, robusta, ecc.) rispetto alla potenza a stelle e strisce ubicata oltreoceano? A questo punto, la cronaca, quel tipo di cronaca, potrebbe prima o poi palesare tale novità. Attendiamo. Nel frattempo, possiamo comprendere e condividere le scelte della vicina Germania che, prudenzialmente, ha chiuso i cosiddetti rubinetti a una fonte primaria di sussistenza (il debito) e, per qualche mese, risparmierà. I tedeschi lo possono fare e lo hanno fatto. Altri, invece, vorrebbero, ma non gli è permesso e di questo, da oggi, inizieremo a leggere.
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