Lo diciamo subito: il tema che tratteremo quest’oggi è ostico. Molto ostico. Un’argomentazione per veri e propri lettori forti, soggetti dotati di profonda conoscenza matematica e soprattutto tanta, tantissima fantasia da impiegare per risolvere il seguente problema (o forse enigma) finanziario. A voi il quesito: “A maggio 2022 lo spread quotava 180 punti e il rendimento dei titoli di Stato italiani con scadenza due anni era pari allo 0,76%. Oggi, gennaio 2023, a distanza di oltre un semestre lo stesso spread quota sempre 180 punti mentre a quanto ammonta il rendimento dei titoli biennali domestici?“.
Inutile ribadire il divieto al confronto con il vicino di banco o, per i più sofisticati, ogni tipo di consultazione alle moltissime fonti finanziarie. Per la risoluzione a questo tipologia di “problema finanziario” è necessaria un’apertura mentale non comune e, come detto, probabilmente un’infinita fantasia.
Confidando nell’impegno di tutti la risposta corretta è comunque la seguente: a parità di valori di spread, il rendimento dei titoli di Stato italiano con scadenza a due anni, è pari al 3%. Silenzio. Un lungo silenzio nella stanza dove troviamo i partecipanti al test. Moltissimi gli sguardi attoniti. Ecco giungere le prime reazioni con la classica mano alzata che anticiperà la successiva obiezione caratterizza da un solo giudizio: “C’è sicuramente un errore. Non è possibile”. In risposta a questa scontata constatazione giunge la fisiognomica dell’accademico posto al di là della cattedra che, verosimilmente soddisfatto, accenna prima un sorriso, per successivamente replicare: “Osservate le quotazioni e vedrete voi stessi”. Altro silenzio.
Come potete immaginare abbiamo volutamente forzato la rappresentazione di questo ipotetico confronto al fine di poter sintetizzare i recenti accadimenti sul mercato obbligazionario italiano e il tanto e sempre temuto spread. Prescindendo dalla caricatura adottata, la sostanza dei fatti non cambia: da maggio 2022 a oggi lo spread quota i medesimi valori di allora, mentre, il rendimento del biennale domestico registra un incremento significativo portandosi a ridosso dei tre punti percentuali. In questa vicenda, oltre all’entità attualmente raggiunta dalla parte breve della curva dei tassi italiani, ciò che emerge come inusuale è la stesso differenziale tra Italia e Germania. Un valore che in termini assoluti non identifica “un pericolo”, ma, se invece tradotto in termini relativi (rif. casse dello Stato Italia), riveste la funzione di pesante costo per le nostre finanze. Un “balzello” (che solo tale non è) a causa della politica monetaria finora adottata dalla Bce che, anche in ottica futura, vivrà di ulteriori rialzi.
A questo punto, il destino dei rendimenti dei titoli di Stato italiani (e non solo), vivrà di una ritrovata luce che, a sua volta, però, sarà pressoché offuscata dalla flessione dei prezzi di ciascun strumento finanziario detenuto. Questo è lo scenario attuale e questo sarà anche quello futuro: il tutto fino a data da definire. E sulla base di tale view operativa la conferma è arrivata dal collocamento del primo Bot annuale targato anno 2023. Questo “umile” mezzo monetario ha riscontrato il placet della platea dei potenziali interessati che, confermando il loro sempre e costante appeal (rif. rapporto di copertura a 1,39 ovvero in linea con la media annuale), si è aggiudicata l’intero ammontare offerto (7 miliardi di euro) con una remunerazione del 3,086%. Una vera e propria immensità se comparata con il rendimento di 12 mesi fa per una medesima emissione (rif. Bot gennaio 2022-2023): -0,444%. Inutile sottolineare come si possa considerare un vero affare se contestualizzato al solo ambito obbligazionario e prendendo in considerazione i singoli rapporti rischio/rendimento, yield to maturity, duration modificata, ecc.
Prescindendo dall’effettiva e indubbia efficienza finanziaria di tale strumento, oggi molto più di ieri, sorge il dubbio sull’uso – più o meno approfondito – dell’informazione derivante dallo spread. Come dimostrato, la sola indicazione di valori ritenuti contenuti o elevati non corrisponde al vero dato economico in dote sia allo Stato italiano che allo stesso investitore. Con l’attuale (nuova) soglia dei tassi di interesse, parlare di spread a 200 punti, sembra non essere alquanto incisivo in termini di comunicazione di rendimento finale. Viceversa, per poter fornire una più ampia visione, potrebbe essere utile affiancare allo spread anche un altro termometro dell’effettivo valore monetario del contendere: l’Euribor potrebbe essere una valida opzione.
Il monitoraggio di quest’ultimo, al pari del più comune e sempre commentato spread, potrebbe rappresentare un connubio vincente non solo nel breve, ma quanto più nel medio-lungo termine.
Tentare non costa nulla. Non tentare costa sicuramente.
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