“Il sogno di un’Italia libera”: è questo il titolo dello speciale che questa sera Rai 2 propone in prime time dedicandolo a Dante Alighieri: nell’anno in cui ricorre il 700esimo anniversario della morte del sommo poeta, il servizio pubblico propone ai telespettatori un “viaggio emotivo e avvincente” sulle tracce di uno dei padri della lingua italiana attraverso una carrellata di personaggi del 1300 tra cui anche imperatori e papi che ricorrono nella “Divina Commedia”. E il docu-drama prodotto da GA&A Productions assieme a Rai Documentari mescolerà interviste e fiction per raccontare l’epoca di Dante, soffermandosi su alcuni dei principali personaggi del Medioevo tra cui il tanto discusso Bonifacio VIII, pontefice che Alighieri relegò alla condanna eterna del suo Inferno. Ma chi era questo Papa accusato di simonia e che è stato a giudizio quasi unanime uno dei capi della Chiesa Cattolica attorno a cui si sono concentrate polemiche e accesi dibattiti?



Il Papa tanto odiato da Dante -e dopo ne proveremo a spiegare i motivi- al secolo nacque come Benedetto Caetani in quel di Anagni (1230 circa) ed è passato alla storia come il 193esimo Pontefice, ruolo che rivestì dal 1294 fino alla sua morte, avvenuta l’11 ottobre 1303; fu inoltre il Papa che scelse di chiamarsi Bonifacio VIII a celebrare nel 1300 il primo Anno Santo della storia cattolica. Ma andiamo con ordine: già cardinale, Benedetto Caetani è ricordato per essere stato una delle figure più vicine al celebre Celestino V, il Papa della clamorosa “rinuncia” al soglio pontificio e che secondo gli storici ebbe proprio l’assistenza del cardinale laziale per trovare nel diritto canonico delle motivazioni per il famoso passaggio di mano. Tuttavia a finire sotto la lente di ingrandimento degli studiosi è stata soprattutto la fervente attività politica e le presunte attività corruttive di Bonifacio che gli valsero appunto non solo la condanna della Chiesa ma dello stesso Dante.



BONIFACIO VIII, CHI ERA? PAPA ACCUSATO DI SIMONIA: DANTE LO RELEGA IN UN CANTO DELL’INFERNO E…

“Se’ tu già costì ritto, Bonifazio? / Di parecchi anni mi mentì lo scritto” scrive Dante nel XIX Canto dell’Inferno: bisogna sapere che Caetani era un rampollo dell’omonima famiglia, all’epoca molto potente e che grazie all’elezione di Benedetto poté incrementare non solo i propri possedimenti terrieri ma anche l’influenza politica. Bonifacio fu eletto all’età di 64 anni dopo l’abdicazione di Celestino ma già all’epoca Dante avanzò in più circostanze l’ipotesi che quel conclave sia stato viziato da simonia, come peraltro suggeriva anche Jacopone da Todi. Personaggio controverso e su cui è stato scritto tanto, Bonifacio VIII era ritenuto molto spregiudicato nella gestione del potere, cinico e secondo alcune eminenti figure interne alla stessa Chiesa pure avido di ricchezze materiali. “Se’ tu sì tosto di quell’aver sazio / per lo qual non temesti tòrre a ‘nganno / la bella donna, e poi di farne strazio” prosegue Dante mettendo in bocca tali parole a Niccolò III e che gli riserva un posto d’onore in quella bolgia. Bisogna ricordare inoltre che sul giudizio su Bonifacio pesa la fama non propriamente cristallina di cui godevano i Caetani (o Gaetani, di Gaeta), tra le famiglie più influenti dell’epoca e rivali acerrimi dei Colonna con cui erano in contrapposizione.



Per Dante dietro l’elezione di Bonifacio non c’era solo simonia ma anche il raggiro di Celestino V, ritenuto un ingenuo e probabilmente inadatto al ruolo. Insomma Bonifacio era il simbolo di una corruzione profonda che attraversava sotterraneamente la Chiesa (“cloaca del sangue e de la puzza” si dice in un altro Canto) e in tale contesto si inserisce la guerra tra Guelfi (papisti convinti) e Ghibellini, sostenitori del primato imperiale, a Firenze. Pur da guelfo, Dante promuoveva l’indipendenza della città toscana sia dalla Chiesa sia dall’ingerenza imperiale e l’elezione di un Caetani era per lui come fumo negli occhi: da qui la sua fiera opposizione e la successiva condanna in contumacia all’esilio da Firenze nel 1302, estesa poi anche ai figli Pietro e Jacopo nel 1315, commutata nella confisca dei beni in alternativa alla condanna al rogo in caso di cattura. Assieme alle evidenze della ‘mala gestio’ di Bonifacio, questa ignominia che lo costrinse a dire addio alla sua patria furono decisive nel suo giudizio storico ma anche alla base della genesi della Divina Commedia e della sua straordinaria galleria di splendori e miserie umane.