Dopo un vertice in Prefettura a Milano sull’ordine pubblico, è stato cristallizzato uno scenario sconfortante relativo all’attuale periodo storico che stiamo vivendo, dopo non mancano le guerriglie urbane promosse ufficialmente da commercianti, baristi e camerieri che però non sono riusciti poi a gestire la situazione. In Questura però è stato preso in considerazione anche un altro fenomeno che è andato ad aumentare con la fine del precedente lockdown. Si parla dell’esponenziale crescita dell’aggressività e che sfocia spesso e volentieri in episodi con protagoniste le baby gang formate da ragazzini di età compresa tra i 14 ed i 16 anni. Giovani pieni di rabbia nei confronti del mondo e che non hanno nel mirino le recenti misure del Governo. Addirittura potrebbero forse ignorarle. Tutta questa rabbia in relazione anche alla provenienza geografica – a partire dalla periferia – accende i riflettori sul disagio delle seconde e terze generazioni di figli di migranti. Un fenomeno che riguarda con maggiore insistenza proprio la città di Milano ma che si amplia poi anche all’hinterland.
BOOM BABY GANG DOPO LOCKDOWN A MILANO
Il malessere dei giovani, ragazzini “incazz*ati col mondo” come evidenzia un investigatore milanese, non va solo circoscritto agli estremi lembi del capoluogo lombardo ma abbraccia l’intera città. I giovani rabbiosi di oggi si incontrano inizialmente su Internet, in apposite chat trasformate in luoghi dove radunarsi ed ottenere direttive. Nelle ultime ore istituzioni e società di vigilanza hanno chiesto con insistenza a carabinieri e poliziotti di essere protetti proprio alla luce dell’imprevedibilità dei ragazzi. Già lo scorso settembre a Milano il capo della polizia Franco Gabrielli aveva presieduto una riunione “interna” durante la quale aveva illustrato le criticità registrate nei mesi più complicati ed aveva chiesto lo sforzo di “leggere” la città e la provincia cercando di prevedere le azioni a seconda della provenienza, delle istanze e di cosa l’interlocutore si porta dentro e dietro.