Un recente studio della Fondazione Fiba di First-Cisl dimostra come i tassi sul credito al consumo in Italia siano i più alti in Europa (oltre il 10,5% medio annuo). Di fatto si tratta dei tassi di interesse sui crediti (cioè sui finanziamenti) concessi al consumatore per soddisfare un’esigenza personale o familiare: un banale esempio al proposito, che non ha certo la pretesa di esaurire il complesso mondo finanziario, sono gli acquisti a rate, cioè la possibilità di usufruire subito di un bene “spalmando” la spesa nel tempo. In questo caso ogni singola rata è composta da una parte corrispondente al valore rateale del bene e da un’altra corrispondente al tasso d’interesse (cioè il costo stesso della rata).



Lo studio dimostra come in Italia l’utilizzo del credito al consumo sia in netto aumento: il suo valore è pari a circa 162 miliardi (circa un quinto dei prestiti bancari totali alle famiglie) ed è uno degli ambiti a più forte rischio morosità. “L’Italia, nella rilevazione di fine maggio, si conferma tra i Paesi dove consumare a rate costa di più, con tasso annuale effettivo globale (Taeg) al 10,66%, dal 10,59% di aprile. La media euro è l’8,69%, un quinto in meno. Vi si allinea la Germania, mentre in Francia consumare a rate costa il 6,82%. Solo Estonia, Grecia, Lettonia e Lituania battono l’Italia sui prestiti ‘finalizzati’ al consumo” (cfr. La Repubblica).



Certamente all’appartenenza ai primi posti della triste classifica incide anche la politica monetaria restrittiva della Bce, che avendo alzato i tassi sui depositi in modo consistente per limitare l’inflazione, cercando quindi di ridurre la liquidità circolante, ha causato l’effetto di alzare i tassi per i consumatori. A causa di tale politica le banche sono spinte a concedere prestiti alle persone solo se i tassi d’interesse rivolti a loro sono più alti rispetto a quelli che ottengono per lasciare la liquidità in deposito: in questo modo il costo del denaro aumenta e il circolante si riduce notevolmente, come programmato dalla Banca centrale europea.



Uno studio di Segugio.it ed Experian dimostra inoltre che la fascia che più si rivolge al credito al consumo è quella dai 18 ai 28 anni, la cosiddetta Generazione Z: da questo punto di vista ci sono molte considerazioni che si possono fare, senza la pretesa di essere esaustivi nella spiegazione del fenomeno.

In primo luogo, si può ipotizzare che il ricorso al credito al consumo sia dovuto al costo della vita, in Italia, e nelle regioni del Nord in particolare, molto elevato. A questo va aggiunto il fenomeno degli scarsi stipendi e della loro mancata o ritardata indicizzazione al costo della vita, tanto da non essere cresciuti negli ultimi 30 anni; senza dimenticare infine le tante zone e le tante persone che sono in condizione di povertà.

Andando per un momento oltre la fascia analizzata, si può riassumere dicendo che da un lato la questione del costo della vita, dall’altro l’esigenza dei poveri di avere beni di consumo portano all’aumento del fenomeno: “Una scansione territoriale conferma il sospetto di un maggiore ricorso al credito al consumo nelle aree più povere. Sicilia (14,32 miliardi), Campania (13,65 miliardi), Puglia (10 miliardi) e Calabria (5,3 miliardi) valgono un quarto del credito al consumo nazionale: e il tasso di deterioramento dei prestiti in queste aree è fino a un 50% superiore alla media italiana” (cfr. La Repubblica).

Tornando ai giovani, il fenomeno potrebbe essere da un lato maggiormente acuito (retribuzione scarsa a causa di stage o contratti con paga particolarmente bassa, contratti a tempo determinato o altre tipologie non a tempo indeterminato, ecc.) oppure no, se questi vivono ancora a casa della famiglia d’origine.

Oltre a questi temi brevemente accennati c’è anche un fattore economico e sociologico: che l’utilizzo così intensivo di credito al consumo sia dovuto anche al fatto di essere in una società iperconsumistica?

Se si volesse azzardare una previsione, si potrebbe pensare che la nuova politica “espansiva” della Bce (che altri non è che un progressivo taglio degli alti tassi) porterà a un aumento di questa tipologia di finanziamento. Resta da capire quanto poi i crediti vengano effettivamente pagati e quanto invece l’ampio utilizzo dello strumento sia dannoso per le persone, dato che non è scontato che il soggetto debitore risulti alla fine solvente.

Dallo studio emerge un altro dato preoccupante, che riguarda la cessione del quinto dello stipendio: “Dal 2011 al 2023 l’ammontare di questi prestiti è pressoché raddoppiato, passando da poco più̀ di 10 miliardi ad oltre 18 miliardi di euro […]. È opportuno uno sguardo attento e responsabile riguardo ai prestiti legati alla cessione del quinto, soprattutto quando correlati al consumo, che potrebbero rappresentare la spia di grandi difficoltà nel soddisfacimento dei bisogni primari”, ha detto il Segretario generale First-Cisl Riccardo Colombani.

Concludendo, il credito al consumo, così come la cessione del quinto, sono due fenomeni finanziari segno, in parte, di disagio sociale da non sottovalutare e che la politica non può certo ignorare.

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