Boris Johnson ha parlato per la prima volta del Coronavirus e della lotta contro la malattia che lo ha colpito nelle scorse settimane. Come noto anche il premier della Gran Bretagna è stato tra le tantissime persone che hanno dovuto combattere con il Covid-19; ne è uscito e adesso sta bene, ma nel suo racconto permane tanta paura soprattutto perché, ad un certo punto, le cose sembravano essere critiche. “Mi hanno dato una maschera per il viso, ho ricevuto litri e litri di ossigeno” ha raccontato, parlando esplicitamente di un momento molto difficile. Intervistato dal Sun, Johnson ha ammesso di essersi sentito frustrato per la sua condizione di impotenza di fronte ad una malattia che lo ha colpito all’improvviso, e che non se ne voleva andare. Nelle sue parole ci ritroviamo un po’ tutti, perché senza voler fare retorica davvero questo virus, come tutte le altre malattie, non fanno distinzione alcuna.



BORIS JOHNSON “PIANI DI EMERGENZA SE FOSSI MORTO”

“Non riuscivo a capire perché non stessi migliorando” ha poi aggiunto Boris Johnson, che ha identificato il momento più brutto come quello in cui i medici gli hanno detto che c’era il 50% di probabilità che fosse necessario mettere un tubo nella trachea del premier britannico. “Era difficile credere che la mia salute si fosse deteriorata a tal punto” ha poi detto; ora però il pericolo e lo spavento sembrano essere superati, Johnson è tornato alle sue normali attività e afferma di essere guidato da un desiderio travolgente di rimettere in piedi il suo Paese. “Sono di nuovo in salute e ho fiducia che ce la faremo”. Infine, il primo ministro ha rivelato di essere consapevole di come ci fossero dei piani qualora le cose fossero andate male: “C’erano dei piani di emergenza in atto, i medici avevano tutti i tipi di accordi su cosa fare qualora fossi morto”.



Il paragone che Johnson ha fatto è stato quello con la morte di Iosif Stalin, avvenuta nei primi mesi del 1953: lo scenario da affrontare sarebbe stato questo, in caso di morte erano già stati presi accordi su come dare la notizia ufficiale. Il riferimento riguarda appunto il fatto che, da quello che si racconta, il colpo apoplettico che alla fine risultò fatale al leader dell’Unione Sovietica sia avvenuto una notte prima riguardo a quanto annunciato, e che lo slittamento di 24 ore siano state dovute al fatto che le guardie private non intervennero che il giorno seguente (non osando forzare la porta blindata della sua stanza) e di conseguenza i medici scelti dal ministro della sanità arrivarono in ritardo. Naturalmente il contesto di Boris Johnson sarebbe stato ben diverso, ma il riferimento serve a dirci quanto evidentemente il decesso del premier britannico avrebbe potuto impattare sulla popolazione, al punto da stabilire a tavolino una strategia su come darne la notizia.

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