Il -6,2% della Borsa italiana di ieri, in compagnia di tutte le principali borse dell’Unione europea, è stato un movimento di liquidazione che non ha risparmiato alcun settore o società. È la realtà delle conseguenze economiche della guerra in Ucraina e delle sanzioni che si materializza sui listini europei senza sconti. Il cambio euro/dollaro buca 1,1 e il biglietto verde si porta vicino ai massimi degli ultimi cinque anni contro l’euro; stesso discorso per la sterlina. La borsa americana e quella inglese sono ancora positive rispetto a dodici mesi fa, mentre quelle europee sono in territorio negativo. O i mercati si sbagliano clamorosamente o la ritirata disordinata, una rotta, dei capitali dalle borse europee è il segnale di quello che si prospetta.
Esattamente come per altre crisi, per esempio quella di Lehman, le borse anticipano un’evoluzione che l’economia reale non sta ancora vedendo nonostante quello che si è già materializzato con l’esplosione dei costi energetici partita prima dell’estate del 2021. Il calo di ieri trascende l’esigenza di molti investitori di scaricare le posizioni prima di due lunghissimi giorni di borse chiuse.
È impossibile capire se non ci si arrende alla realtà dei fatti così com’è: l’Europa, più di ogni altra regione globale si appresta a vivere una crisi energetica che non ha soluzione nel medio periodo. L’Europa si appresta a subire gli effetti di un’inflazione alimentare che non si è mai vista. Questa non è, purtroppo, un’esagerazione perché il prezzo del grano alla borsa di Chicago è stato sospeso per eccesso di rialzo due volte questa settimana e viaggia al 50% sopra ai massimi dagli anni ’60. L’Europa è un importatore netto di grano, mais, fertilizzanti e tantissime componenti chimiche, metalliche e plastiche necessarie all’industria alimentare.
L’inflazione energetica colpisce le tasche dei cittadini, ma soprattutto devasta imprese e capacità produttiva che è messa fuori gioco sui mercati globali. L’inflazione alimentare apre scenari che in Europa non si sono mai visti per due ragioni. La prima: c’è la fila di Paesi in coda per accaparrarsi una risorsa scarsa, il grano russo e ucraino, che non basta per tutti. La seconda: i Paesi del Nord Africa i cui cittadini dedicano una parte di reddito all’acquisto di cibo molto superiore a quella degli europei potrebbero entrare in difficoltà con risvolti sociali imprevedibili in termini politici e migratori. Le Primavere arabe non sono state estranee ai rincari delle commodity agricole.
Cina, India, Turchia, Brasile e molti stati africani che non hanno imposto sanzioni alla Russia potranno competere più efficacemente sui mercati per assicurarsi due forniture strategiche per ogni nazione: energia e cibo. È notizia di ieri che la Russia ha bloccato le esportazioni di fertilizzanti verso l’Europa mentre due settimane fa Bolsonaro è partito da Mosca con un accordo proprio sui fertilizzanti.
I capitali internazionali hanno liquidato l’Europa a ogni prezzo e sono scappati a gambe levate in modo disordinato. I mercati e gli investitori non guardano le televisioni europee, si limitano a leggere i dati sugli interscambi e le notizie, anche aneddotiche, che emergono su chi ha più o meno flessibilità nel contesto attuale. Hanno, evidentemente, la percezione che la politica a Mosca non cambierà. Se pensassero che le cose stiano per cambiare o possano cambiare nel breve medio periodo non avremmo visto quello che abbiamo visto ieri. Il sondaggio condotto tra gli investitori sembra suggerire che non ci sarà instabilità politica a Mosca e se ci sarà non in un senso che piace all’Europa.
Non si capisce con quali capitali l’Europa possa pensare di riarmarsi anche ipotizzando di sacrificare il burro ai cannoni. Ma queste sono considerazioni di buon senso e realismo che non vanno particolarmente di moda oggi. Anzi, chiunque provi a portarle avanti tendenzialmente ha poco spirito patriottico, nella migliore delle ipotesi, se non direttamente traditore e comunque certamente egoista e senza cuore.
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