Sulla Borsa italiana continua “l’effetto Draghi” e nell’ultima settimana la performance azionaria è stata la migliore d’Europa. Nei commenti che si sono potuti leggere l’osservazione del fenomeno si è concentrata sullo “spread” e sul rendimento del decennale italiano; lo spread è ai minimi dal 2016 e negli ultimi giorni ha registrato una chiara accelerazione al ribasso. Questo però non è l’evento più utile da sottolineare. La riduzione dello spread italiano dura dalla fine di maggio ed è stata abbastanza rapida per interrompersi, brevemente, solo in concomitanza della crisi politica che ha coinvolto il Governo. Lo “spread” è sceso da oltre 250 punti di maggio fino a poco più di 100 di inizio gennaio nonostante l’economia italiana abbia registrato uno dei cali del Pil più alti tra le economie occidentali e nonostante l’azione del Governo in campo economico avesse lasciato molti dubbi sia in Italia, sia, soprattutto, nelle capitali europee.
Il fenomeno di riduzione dello spread, avvenuto chiaramente anche con il precedente Governo, si spiega quasi interamente grazie all’appoggio della Bce e alle rassicurazioni sull’approvazione da parte italiana dei programmi di rilancio europei con tutti i vincoli annessi. Dal punto di vista dell’investitore è sufficiente che ci sia un accordo tra Bce e Governo italiano e che questo accordo sia garantito indipendentemente da quello che succede all’economia e indipendentemente dai Governi. Se le cose andassero male, o per una crisi economica o per un Governo “sbagliato”, l’Europa ha tutti gli strumenti per imporre agli italiani il rientro via tasse.
I successi dello “spread” o del decennale italiano però non si erano estesi ai settori presenti sul listino italiano. La scommessa dei mercati si è limitata agli spazi in cui è visibile ed efficace l’azione della Bce e in cui la finanzia italiana, in particolare il debito pubblico, è sottratta alla sovranità degli italiani e in un certo senso ai successi e agli insuccessi dell’economia.
“L’effetto Draghi” per esistere quindi deve avere una differenza qualitativa rispetto a quanto successo nel 2020. Effettivamente negli ultimi giorni si sono osservati rialzi di società molto più connesse all’economia reale e al sistema Paese italiani come quelle legate al settore delle costruzioni ma non solo.
Accontentare l’Europa firmando cambiali e mettendo a garanzia i risparmi degli italiani mentre si approvano bonus monopattini e si mantengono provvedimenti che prima o poi dovranno inevitabilmente finire è facile. L’investitore si sente rassicurato continuando a essere completamente indifferente, com’è giusto e inevitabile chi sia, al benessere degli italiani. La parte difficile è far ripartire l’economia italiana dopo il trauma della pandemia. Pensiamo al settore delle infrastrutture e al codice degli appalti. Da anni il settore lamenta l’eccesso di burocrazia che impedisce qualsiasi opera in tempi ragionevoli e appena si prova a metterci mano iniziano le “proteste” per un supposto far west normativo o di sicurezza del lavoro o di eccessiva “cementificazione”. Risolvere il problema con una sintesi di tutte le istanze, comprese quelle dell’economia, è complicato e bisogna mettere le mani nel motore prendendosi anche qualche schizzo di olio.
Questo “esempio” è solo uno dei molti possibili in una lista che include la burocrazia, la giustizia, le tasse e così via. Tutti temi che puntualmente finiscono sotto l’osservatorio delle agenzie di rating. Se l’effetto “Draghi”, come sembra, si vedrà anche da queste parti allora significa che la partita è improvvisamente cambiata e che la sfida è salita di tono. Da un lato, è indubbiamente positivo perché il “mercato” pensa che oggi ci siano gli elementi per una scommessa che una settimana fa non c’erano; dall’altro, l’asticella con cui il nuovo Governo dovrà misurarsi si è certamente alzata e il termine di paragone è più difficile. Ovviamente tutti si augurano il successo più pieno.
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