Banche e petrolio, il vero motore di Piazza Affari, non hanno ancora inviato segnali chiari di ripresa, ma potrebbero farlo in un prossimo futuro.

Prendendo in considerazione il “peso”, in termini di volumi scambiati sull’intero mercato, delle coppie Intesa Sanpaolo-Unicredit ed Eni-Saipem, ci si accorge che ammonta in media rispettivamente al 13% circa e al 7% circa del totale, quindi questi quattro titoli da soli rappresentano il 20% circa del listino. La loro performance nel 2020 non è stata brillante: Intesa mette in soffitta l’anno con una perdita del 18,25%, Unicredit addirittura del 41% circa, Eni scende rispetto alla chiusura del 2019 del 38% e Saipem del 50% circa. Proprio da questi risultati deriva in parte la frenata dell’indice Ftse Mib, che alla fine del 2020 non è riuscito a tornare positivo sul 2019. lasciando sul terreno il 5,42%.



Date queste premesse, a livello di indici settoriali non ci si possono aspettare sorprese: quello domestico delle banche ha perso nel 2020 il 21,1% circa (23,27% la versione Eurostoxx), l’energia invece termina con un -31,27% (-22,88% l’Eurostoxx Oil & Gas).

Andando a guardare il quadro grafico degli indici settoriali, è però possibile estrapolare la speranza di un miglioramento in futuro, in particolare per quello che riguarda il comparto dell’energia: il settoriale Ftse Italia Petrolio e Gas Naturale sta infatti disegnando una delle figure più care agli analisti nell’ambito della famiglia di quelle che preannunciano un’inversione rialzista, un potenziale “doppio minimo”, ovvero una base che potrebbe sostenere un tentativo di un rimbalzo esteso.



Conferme in questo senso verrebbero, tuttavia, solo oltre il picco di giugno a quota 12.713 circa. In quel caso attesa una rivalutazione dell’indice nell’ordine del 32-33%. Se invece i prezzi dovessero scendere sotto area 10.500, le speranze di una ripresa verrebbero accantonate.

Nel caso del settoriale delle banche, il Ftse Italia Banche, non compaiono figure particolarmente rivelatrici, ma l’indice è comunque a contatto con una resistenza critica. I massimi di fine novembre a 7.935 punti si collocano infatti sul 50% di ritracciamento del ribasso dal picco di febbraio.

Questa percentuale di ritorno è quella che separa uno scenario correttivo, quindi di una reazione temporanea, da uno di inversione di trend, dove il movimento in atto ha maggiori probabilità di dimostrarsi una tendenza autonoma destinata a durare. Solo in caso di una rottura decisa di area 7.950 l’indice Ftse Italia Banche si affrancherebbe dal rischio di una ripresa duratura della tendenza ribassista, intrapresa a inizio del 2020, che, a sua volta, è solo una porzione della discesa avviata ad aprile del 2018.



Sotto i 7.000 punti il timore di non potere assistere a un’estensione del rialzo aumenterebbe considerevolmente.

Se ancora, nonostante il periodo festivo, è sicuramente prematuro stappare la bottiglia di spumante, almeno le speranze di poter assistere a un inizio d’anno positivo non sono del tutto sotterrate.

Per quanto riguarda Intesa Sanpaolo e Unicredit gli occhi degli investitori saranno puntati sulle capacità del paese di uscire dalla crisi del Covid, e quindi di limitare il rischio di veder aumentare le sofferenze nei bilanci bancari.

Nel 2020, nonostante la pandemia di Covid19 abbia frenato l’attività, i crediti deteriorati ceduti sono stati circa 30 miliardi, un valore superiore rispetto a quello degli obiettivi fissati a inizio anno, grazie anche ad alcune operazioni straordinarie come quella di Banca Mps.

Gli Npe (acronimo di Non performing exposure) ratio di Intesa e di Unicredit sono rispettivamente al 7,1% e al 4,8%, bassi rispetto ad altri player del mercato nazionale (Mps è all’11,8%), ma alti rispetto alla media europea del 3%. I volumi lordi di Npe nel panorama italiano sono ancora pari a 130 miliari (dati primo semestre 2020). Con la crisi del Covid questa cifra potrebbe tornare a salire, ecco perché le banche si stanno attivando per snellire il fardello attuale il più rapidamente possibile. Ma il mercato darà fiducia ai titoli di questi due istituti?

Il grafico di Intesa Sanpaolo non è al momento particolarmente attraente, ma potrebbe diventarlo, come del resto quello dell’indice settoriale già analizzato, se le quotazioni riusciranno a superare, in chiusura di seduta, la resistenza critica dei 2 euro. In quel caso un tentativo di salire almeno fino a ricoprire il gap ribassista del 28 febbraio in area 2,25 potrebbe realizzarsi. Sopra quei livelli il target si sposterebbe in area 2,50 euro. Sarebbero invece discese al di sotto di area 1,85, dove transita la media mobile esponenziale a 50 giorni, a far temere una flessione accentuata, fino in area 1,60 euro circa.

Nel caso di Unicredit, invece, la soglia critica da superare per poter inviare un segnale convincente di rialzo è ancora lontana, si colloca infatti a 9,25 euro circa. Solo oltre quei livelli sarebbe lecito iniziare a scommettere sul raggiungimento di area 11,25 euro almeno. Nel breve termine sarebbe la rottura di area 8,20 a mettere il titolo in condizione di testare i 9,25 euro. Sotto i 7 euro diverrebbe invece probabile il ritorno verso i minimi di maggio, già testati anche a fine ottobre, posti a 6,01 euro.

Passiamo ora ai titoli del comparto oil. I giudizi dei broker per Eni restano positivi. Recentemente Banca Akros ha confermato la raccomandazione “buy” con prezzo obiettivo a 11,50 euro, ben al di sopra quindi degli 8,55 euro in corrispondenza dei quali è terminato l’anno. La valutazione di Akros è legata anche alla scoperta di nuove risorse nella concessione di Meleiha, nel deserto occidentale egiziano: “La scoperta conferma la strategia di crescita organica della società” hanno commentato gli esperti, che hanno aggiunto: “Notizia positiva”.

Anche Equita Sim ha confermato negli ultimi giorni dell’anno la propria raccomandazione “buy” con un prezzo obiettivo a 10 euro su Eni.

Equita è invece più prudente su Saipem, per la quale prima di Natale ha confermato il rating “hold” (mantenere) con un prezzo obiettivo di 2 euro. Su Saipem ci sono voci di un ridimensionamento di Eni nel capitale con un contestuale rafforzamento di Cdp. Gli strumenti da utilizzare, come ad esempio un bond convertibile a lunga scadenza, non avrebbero impatti sul mercato, ma al tempo stesso permetterebbero, secondo Equita, di rafforzare la struttura finanziaria della società: il rapporto Debito netto/Ebitda potrebbe passare nel 2022 a 1 da 1,6, ipotizzando un bond convertibile da 500 milioni di euro. Saipem al momento è controllata da un patto di sindacato su un quarto del capitale, che scade il 22 gennaio 2022. Il patto vincola il 12,5% di pertinenza di Cdp e il 12,5% del 30% che invece fa capo ad Eni.

Intesa Sanpaolo ha confermato di recente la raccomandazione “hold” su Saipem, ma con prezzo obiettivo a 1,53 euro, più basso quindi dei 2,20 euro sui quali è terminato il 2020.

Visione più promettente da parte di Banca Akros, che esprime una raccomandazione “buy” sul titolo con prezzo obiettivo a 3,5 euro. Banca Akros valuta positivamente la recente notizia secondo la quale la Direzione degli armamenti navali del Segretariato generale della Difesa ha acquisito un sistema di soccorso subacqueo che è stato ideato da Saipem e da Drass. Il sistema verrà destinato come dotazione specialistica della nuova nave per operazioni subacquee e di soccorso di sommergibili denominata Sdo-SuRS (Special diving operations – Submarine Rescue system) della Marina militare italiana.

Graficamente Eni è caratterizzato da un andamento laterale che si sta protraendo ormai da alcune settimane. La parte inferiore della fascia è delimitata attualmente dalla media mobile esponenziale a 50 giorni, testata dai minimi del 21 dicembre e passante in area 8,07. Fino a che le quotazioni rimarranno al di sopra di quei livelli le attese saranno in favore del superamento del picco del 9 dicembre a 9 euro, con successivo allungo al rialzo verso il massimo del 2 aprile a 10,10 euro circa. In quell’area si colloca anche il 50% di ritracciamento del ribasso dal top di gennaio 2020, una resistenza critica anche in ottica di medio periodo (oltre 10,10 attesi movimenti prima in area 11,50 poi fino ai 13 euro). Sotto 8,07 rischio invece di ricopertura del gap rialzista del 16 novembre con base a 7,70 euro circa.

Nel caso di Saipem, invece, la media mobile esponenziale a 50 giorni transita in area 1,98 euro. La tenuta di quel supporto e la rottura del massimo del 25 novembre a 2,245 potrebbero anticipare il ritorno sui massimi di giugno a 2,75 euro. La resistenza critica di medio periodo si colloca qui a 2,90 euro, solo oltre quei livelli il rimbalzo nato dai minimi di ottobre perderebbe i connotati di correzione temporanea della discesa precedente, quella avviatasi a inizio del 2020, per assumere i tratti di una tendenza rialzista duratura. Sotto area 1,98 euro rischio di cali almeno fino in area 1,70 euro.