La tanto attesa e temuta crisi di governo è arrivata e giungerà al proprio termine nel corso delle prossime ore. Il nostro Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha autorevolmente arginato una potenziale deriva temporale ponendo un cut off a lunedì. Nei confronti del nostro Paese aleggiava una certa aria di prudenza e – di fatto – alcuni segnali di nervosismo tra i principali attori dell’ormai tramontato esecutivo erano già stati riportati su queste pagine. Nel frattempo, è opportuno “fare i conti” con quanto finora accaduto sul nostro mercato domestico. Agli occhi di molti, le risultanze potrebbero apparire “paradossali” rispetto a un accademico e scontato esito, ma, al momento, è andata bene (finanziariamente parlando).



Dal formale innesco della crisi (8 agosto), la Borsa italiana, e il suo sorvegliato speciale spread, ne hanno beneficiato. Il principale indice italiano (Ftse Mib), dopo aver accusato il colpo all’indomani della rottura in capo all’esecutivo, ha recuperato il proprio terreno perduto fino a riportarsi in prossimità del precedente livello di prezzi (pre-crisi).

Se l’analisi viene estesa all’andamento del nostro spread, si può osservare come durante il discorso tenuto dall’ex Premier Conte, ci sia stato un vero e proprio ritracciamento prima su base intraday, e nelle successive ore, un ulteriore ripiegamento fino all’attuale livello sotto area 200 punti (il massimo mensile è stato in prossimità di quota 240 pb).

A molti osservatori questa duplice dinamica (borsa e spread) potrebbe apparire come priva di un’oggettiva giustificazione: generalmente una crisi di governo dovrebbe destabilizzare sia il fronte azionario, sia la componente del debito, ma ciò non è accaduto.

A motivare tale “paradosso” potrebbe sottostare la seguente ipotesi che accomuna entrambi i versanti (azionario e obbligazionario): il mercato era consapevole di un’imminente crisi di governo e, ormai giunto alla potenziale vigilia di quest’ultima (per via dei molti elementi scatenanti affiorati nel corso delle ultime settimane), ha in qualche modo voluto “allontanare” la soglia dei prezzi di listino da importanti livelli che sarebbero stati pericolosi in caso di violazione al ribasso. Il primo fra tutti è quello dei 20.000 punti sullo stesso indice Ftse Mib. Scampato il rischio di essere vicini ai temuti livelli, qualora si fosse registrato un downside a seguito delle attese notizie, l’intero quadro tecnico – pur subendo una flessione – non avrebbe intaccato il proprio scenario di breve termine. Si tratta di un’ipotesi che può ritenersi sostenibile se costruita solo (è opportuno sottolinearlo) sull’unico elemento riconducibile all’attesa della scontata crisi: altri fattori o eventi esterni avrebbero impattato diversamente.

E proprio un inaspettato elemento è giunto sul finire della scorsa seduta. L’agenzia di rating Moody’s, ovvero la stessa che aveva preannunciato a febbraio «un significativo rischio di elezioni anticipate in Italia, probabilmente dopo le elezioni europee», ha rivisto al ribasso le stime del Pil italiano e non solo. Come si apprende da Radiocor, la nota diffusa riporta: «L’outlook per l’Italia rimane particolarmente incerto con un’economia che continua a stentare per quanto la maggior parte dei paesi dell’eurozona abbiano registrato un qualche rallentamento dalla metà del 2018 in avanti, quello dell’Italia è stato il più accentuato. Per questo ci aspettiamo che l’economia dell’Italia cresca di un modesto 0,2% quest’anno per poi guadagnare un po’ di velocità nel 2020 allo 0,5%. I dati del secondo trimestre confermano che l’economia è in fase di stagnazione e che gli investimenti sono in stallo. La pressoché continua instabilità politica e i disaccordi con l’Ue hanno dato adito a un’incertezza persistente e a condizioni finanziarie meno favorevoli». Un’analisi che il mercato italiano ha prontamente subìto: dai massimi di giornata (+0,94% rispetto alla chiusura precedente) che venivano già lasciati alle spalle nel corso del pomeriggio, si è potuto invece assistere a un’accelerazione verso nuovi minimi intraday per poi concludere la seduta in lieve territorio negativo (-0,14%).

Nel corso di queste ultime giornate tutto poteva apparire insensato, ma, come accade sui mercati finanziari (che “hanno sempre ragione”), ancora una volta ha prevalso la consolidata “storia operativa” e pertanto il celebre aforisma borsistico «compra sulle voci, vendi sul fatto» ha nuovamente messo a segno la sua proverbiale affidabilità.