Al di là e al di qua dell’Atlantico è innegabile il peso e il ruolo dei titoli bancari nei mercati azionari. Ma se si cercasse una nuova conferma sulla diversa capacità di reazione dell’economia Usa, assai più resiliente, rispetto a quella dell’Unione europea basta guardare ai risultati dei recenti test ai quali è stato sottoposto il comparto bancario americano e anche al diverso andamento dei due indici settoriali negli ultimi mesi. “Le 18 maggiori banche degli Stati Uniti – spiega Alessandro Magagnoli, analista tecnico e co-fondatore di Financial Trend Analisys (Ftaonline) – hanno infatti sostanzialmente superato il primo check up della Federal Reserve, anche se la Banca centrale statunitense ha affermato che, nello scenario più avverso degli stress test, le perdite del sistema potrebbero raggiungere i 410 miliardi di dollari”.



Che cosa prevede questo worst scenario?

Una recessione globale con tassi di disoccupazione Usa in aumento di oltre sei punti percentuali, fino cioè al 10%, ossia prossimi ai livelli dell’Italia e a quelli dell’Eurozona in media nel 2016, e un mercato azionario in calo del 50% dai massimi.

Con quali effetti sulle banche americane?



In tale scenario avverso il Cet1 ratio medio – il Common Equity Tier 1 è la componente primaria del capitale di una banca, un indicatore che mostra il rapporto tra mezzi propri dell’istituto e il totale degli impegni assunti – scivolerebbe dall’attuale livello del 12,3% al 9,2%. Ma il punto saliente dello studio è un altro.

Quale?

Viene fatto notare che il capitale regolamentare impiegato, il Common equity capital, nelle 18 banche testate dalla Fed è invece cresciuto di oltre 680 miliardi di dollari dal 2009 a oggi.

Un segnale della capacità di resilienza del sistema finanziario Usa?



Esatto. E lo ha confermato anche il vicepresidente della Fed, Randal K. Quarles: i risultati degli stress test mostrano che le maggiori banche degli Stati Uniti, che coprono circa il 70% del totale degli attivi bancari del Paese, sono significativamente più solide di quanto non fossero prima della crisi. In altre parole, i maggiori istituti statunitensi sono in grado di sostenere l’economia anche nel caso si realizzasse un grave choc.

E in Europa?

L’ultima volta che la Bce ha comunicato i risultati di un esercizio analogo a quello della Fed eravamo nel novembre del 2018. In caso di scenario avverso l’Eba, l’Autorità bancaria europea, ha calcolato una riduzione del Cet1 di 375 punti base come media europea e di 345 per le banche italiane.

Insomma, lo stato di salute dei due comparti bancari non è esattamente lo stesso…

Lo rivela anche il confronto tra le performance dell’indice settoriale banche dell’S&P 500 e del settoriale Eurostoxx da inizio anno.

Come si sono mossi i due indici settoriali?

Quello Usa è in crescita dopo 26 settimane del 13,5%, quello europeo è in calo dello 0,86%. La performance dell’S&P 500, nello stesso periodo, è stata del 18,5%, quindi superiore rispetto al comparto bancario, ma non in modo così evidente. Il trend dell’indice Eurostoxx è invece risultato positivo per il 14,5% circa: una differenza abissale rispetto al comparto.

E se analizziamo l’andamento degli ultimi 12 mesi?

Scopriamo che l’S&P 500 Banking in calo del 3,4%, con l’intero indice in crescita dell’8,35%, mentre l’Eurostoxx Banks cala del 22% e l’intero indice solo dello 0,8%. Questi numeri mostrano chiaramente come negli ultimi mesi il settore delle banche abbia dato il suo contributo alla Borsa Usa per mantenere vivo l’uptrend, mentre in Europa si sia dimostrato una vera e propria zavorra, anche a causa dell’elevato peso specifico dei suoi singoli componenti.

Dall’andamento del comparto bancario dipende, e in Europa ciò è più vero che negli Usa, il destino della Borsa nel suo complesso, non è vero?

Delle 5 maggiori banche Usa – JpMorgan Chase, Bank of America, Citigroup, US Bancorp e Wells Fargo – solo quest’ultima per adesso è al di sotto della media mobile a 200 giorni, indicatore che misura la condizione del trend di medio termine. Il settoriale S&P 500 Banking è allineato con la media mobile, che invece è un supporto molto distante nel caso dell’indice (passa a 2.775 punti circa); nel caso del settoriale europeo invece la media è stata tagliata al ribasso già a maggio, dopo un fugace tentativo di tornarne al di sopra ad aprile (ora transita a 95,65 circa) e per l’indice Eurostoxx invece funziona da supporto a 359 punti circa, mettendo ancora una volta in evidenza la differenza di comportamento tra comparto bancario e mercato nel suo complesso.

Potremmo dire con il sommo poeta: lasciate ogni speranza…?

No, non tutte le speranze sono accantonate: il settoriale bancario europeo è arrivato con la recente fase di debolezza, il veloce ribasso dal picco di aprile a 104,50 punti circa, in vista di una coppia di supporti molto rilevanti e ha mostrato qualche segnale di non voler scendere sotto questi riferimenti. A 84 circa si colloca, infatti, il minimo della candela settimanale archiviata il 28 dicembre scorso, un elemento di tipo hammer, che segnala con la sua presenza la vicinanza di un forte supporto, mentre a 81,80 circa transita la linea che sale dai minimi di luglio 2012.

Che cosa significa?

E’ possibile, e gli indizi accumulati nelle ultime settimane puntano in questa direzione, che tra area 81,80 e area 84 l’indice tenti di accumulare la forza necessaria per tentare una reazione. In quel caso potrebbe delinearsi all’orizzonte la possibilità di vedere completato il doppio minimo, figura rialzista per ora solo allo stato embrionale, disegnato dallo scorso dicembre. Tuttavia solo oltre area 104,50 il doppio minimo troverebbe conferma e potrebbe sostenere una reazione robusta. Già il superamento a 98 circa della media mobile a 52 settimane permetterebbe di avere maggiore confidenza nello scenario rialzista.

Altrimenti?

La violazione di area 84 e poi di 81,80 non farebbe altro che confermare lo stato di cattiva salute del settore, andando ancora una volta ad appesantire anche l’indice principale.

Cosa servirebbe invece all’S&P 500 Banking?

La rottura prima della media mobile a 52 settimane, con la quale i prezzi stanno giocando da inizio mese, passante a 320 circa, e poi della trend line ribassista disegnata dal top di inizio 2018, ora a 330 punti circa, per confermare la ripresa dell’uptrend avviatosi con i minimi dello scorso dicembre.

E se tutto ciò non avvenisse?

La mancata rottura di questi riferimenti e la violazione di area 300 racconterebbero una storia ben diversa, prospettando discese verso i 260/270 punti almeno. Un’evoluzione negativa del comparto bancario americano, anche se non così determinante come nel caso dell’indice europeo per decidere la direzione del mercato nel suo complesso, sarebbe comunque da guardare con sospetto, dal momento che potrebbe anticipare l’avvio di uno storno anche per l’indice principale.

(Marco Biscella)