La borse del famoso marchio francese Dior – vendute anche a più di 2mila euro sul mercato italiano ed estero – sono prodotte in parte da un manipolo nascosto di operai cinesi, sfrutti ed assunti in nero, talvolta costretti a vivere sul luogo di lavoro e a lavorare a contatto con materiali potenzialmente dannosi. Questa è l’estrema sintesi di una lunga inchiesta mossa dalla procura di Milano – visionata e citata dal Corriere della Sera – nei confronti di Manufactures Dior srl, ovvero la committente del ramo italiano della nota azienda francese, ‘colpevole colposamente’ di non aver agevolato il lavoro in nero e lo sfruttamento degli operai costretti a produrre borse per pochi spiccioli.
Partendo dalla fine della questione, la decisione del Tribunale milanese è stata quella di non ritenere direttamente colpevole la committente dell’azienda francese e neppure i vertici di Dior – potenzialmente ignari di questo meccanismo di sfruttamento -, disponendo piuttosto la misura di “prevenzione dell’amministrazione giudiziaria” tramite la persona di Giuseppe Farchione. In altre parole Manufactures Dior srl sarà sottoposta ad un parziale commissariamento della durata di un anno, nel corso dei quali l’amministratore straordinario Farchione avrà il compito di regolarizzare i rapporti della committente con i suoi fornitori di borse, superando (si spera) definitivamente il paradigma dello sfruttamento degli operai cinesi.
Borse Dior subappaltate ad operai cinesi: l’indagine della procura tra Milano e Monza Brianza
Ora, facendo un passo indietro, l’inchiesta di Milano è partita dai subappalti firmati da Manufactures Dior srl con le due società con sede nel milanese – ‘Pelletterie Elisabetta Yang‘ e ‘New Leather srl‘ – per la produzione di borse del noto marchio e che si è scoperto essere gestite (almeno nel primo caso) da cinesi, con operai connazionali e assunti quasi tutti in nero. Nella sede di Opera della ‘Pelletterie Elisabetta Yang’, infatti, i militari lo scorso 21 marzo hanno rilevato la presenza di ben 17 operai cinesi e 5 filippini assunti in nero, contornati dalle pelli necessarie per produrre le borse Dior, da solventi chimici mal conservati e macchinari obsoleti, usurati e privati dei sistemi di sicurezza. Singolare che seguendo la scia dei materiali i Carabinieri hanno appurato che il costo per l’azienda si aggira attorno ai 50 euro a borsa, poi rivenduta dal marchio francese a più di 2mila.
Non solo, perché sempre nella sede di Opera della società sono state trovare “una cucina nonché sette stanze da letto – cita il Corriere -, una dispensa di generi alimentari, un refettorio e due bagni” sintomo chiarissimo che gli operai cinesi e filippini vivevano 24 ore al giorno dentro allo stabile, lavorando alle borse Dior (come emerge dai tabulati della corrente elettrica) almeno dalle 6:30 del mattino a tarda notte.
Situazione differente, invece, nella sede di New Leather Italy srl a Cesano Maderno (in provincia di Monza e Brianza), dove erano sempre presenti degli operai cinesi in nero – alcuni dei quali avrebbero anche provato a scappare alla vista dei militari – e tutti i materiali per produrre le borse di Dior; ma in condizioni lavorative leggermente migliori. Qui, però, le indagini hanno portato alla luce un falso meccanismo di subappalto tramite una società terza fittizia – tale ‘Az Operations srl’ – “creata solo per giustificare la esternalizzazione della produzione di Dior”.
La procura: “Manufactures Dior srl colpevole di inerzia”
Arrivando alla fine, insomma, secondo gli inquirenti la questione delle borse Dior subappaltate a operai cinesi sfruttati ed assunti in nero “è un campanello di allarme sintomatico di una più estesa e diffusa organizzazione della produzione (..) colposamente alimentato dalla Manufactures Dior srl“. Quest’ultima – sempre secondo gli inquirenti, e sempre citati dal Corriere – “non ha verificato la reale capacità imprenditoriale delle società appaltatrici, e nel corso degli anni non ha eseguito efficaci ispezioni o audit per appurare in concreto le condizioni lavorative e gli ambienti di lavoro”.
Una “inerzia, agevolatrice dello sfruttamento dei lavoratori” che non può essere ritenuta pienamente responsabilità della sola Dior, ma che legittima “la misura di prevenzione quantomeno sul piano di rimprovero colposo”: insomma, un ‘rimprovero’ e non una ‘condanna’ per l’azienda francese; mentre il reato di caporalato è stato mosso nei confronti delle due società, colpevoli di aver assunto gli operai cinesi e di averli sfruttati per produrre le borse a pochi euro.