Dopo il bollettino mensile Bce, uscito di recente, che ha confermato la perdita di slancio dell’espansione economica per tutto l’anno in corso, venerdì è arrivata S&P che ha lasciato invariato il rating sul debito italiano. Che effetti avranno sui mercati azionari e obbligazionari italiani? “Il Ftse Mib – spiega Alessandro Magagnoli, analista tecnico e cofondatore di Financial Trend Analysis (Ftaonline) – si trova a un punto critico, proprio quando sui mercati internazionali emergono indizi contrari al proseguimento del rialzo da parte degli indici degli altri Paesi. Le ultime sedute, dal top del 17 aprile a 22.053 punti, hanno visto il Ftse Mib cedente fino a violare un importante supporto, la base del canale crescente che contiene le oscillazioni dai minimi di fine 2018. E’ possibile che parte della responsabilità di questa debolezza sia ascrivibile allo scontro tra Lega e M5s in vista delle elezioni europee di maggio, ma probabilmente la prudenza dei mercati ha motivazioni diverse”.



Quali?

I mercati stanno iniziando a pensare che Mario Draghi possa riuscire a ottenere solo un intervento moderato, compatibile con uno scenario debole, ma non di vera e propria recessione, una prospettiva che di certo non avvantaggia l’Italia, che invece ha bisogno di una grossa boccata d’ossigeno per rimettersi in moto. Il bollettino della Bce ha segnalato, infatti, che alcuni Paesi della zona euro gravati da un elevato debito, tra i quali anche l’Italia, non sono riusciti a ridurre il disavanzo strutturale.



Non a caso lo spread con il Bund è risalito anche in area 270 punti base…

E tutte le volte che lo spread sale le banche italiane soffrono, perché hanno molti bond in pancia, e dato l’elevato peso specifico del comparto bancario all’interno del nostro listino, le loro difficoltà pesano sull’intera Borsa. Ma un’idea della gravità della situazione viene fornita anche dallo spread tra il debito italiano e quello greco con scadenza a 10 anni.

Perché?

Il differenziale si è ridotto recentemente a 65 punti base circa, ai minimi degli ultimi 10 anni. Il debito italiano, ormai a 2.320 miliardi di euro, vale da solo un quarto circa di quello dell’intera area euro, è quasi il doppio di quello spagnolo (1.173 miliardi) e in rapporto al Pil è al 132,2% contro il 61% della Germania e il 100% circa di Francia e Spagna.



Queste differenze sul peso del debito si riflettono anche sull’andamento degli indici azionari?

Sia il Ftse Mib sia il Dax si sono mossi dai minimi di fine 2018 all’interno di un canale rialzista, ovvero oscillando all’interno di due linee parallele con inclinazione crescente, ma il Ftse Mib nelle ultime sedute è andato in pressing sul limite inferiore del canale, supporto passante a 21.650 punti circa, mentre il Dax si è portato a testare il limite superiore dell’analogo canale, resistenza in area 12.350.
Una differenza di comportamento molto evidente…

E lo si nota anche analizzando le diverse capacità di reazione dei due indici. Il Ftse Mib ha percorso a ritroso solo il 61,8%, importante riferimento di Fibonacci, del ribasso dal top di maggio 2018, resistenza chiave poco al di sopra dei 22.000 punti. Il Dax ha invece superato in modo netto lo stesso riferimento, posto a 12.100 punti, arrivando nelle ultime sedute in area 12.350. Difficile immaginare che le due curve possano avere un andamento divergente.

Quindi?

O il Dax si lascerà alle spalle area 12.350, salvando il Ftse Mib dalla violazione della base del canale, oppure il Dax andrà incontro a una correzione e allora anche il Ftse Mib continuerà a scendere. In questo caso, però, mentre il Dax potrà giocarsi tutta l’ampiezza del canale, con base a 11.700 punti circa, non distante dalla base del gap del 3 aprile a 11.778 circa, una sorta di cuscinetto in grado di assorbire una fase di debolezza senza pregiudicare la tenuta dell’uptrend, il Ftse Mib al di sotto dei 21.650 punti segnalerebbe l’inizio di una vera e propria correzione del rialzo dell’ultimo trimestre, con il rischio di discese fino a ricoprire il gap del 25 febbraio a 20.290 punti circa.

All’inizio accennava a indizi contrari alla tenuta del rialzo. Da dove arrivano?

Secondo quanto reso noto dalla Bank of Korea, il Pil di Seul nel primo trimestre del 2019 è diminuito dello 0,3% rispetto al trimestre precedente. Si è trattato della prima contrazione dal 2008. Il deterioramento della crescita è probabilmente il frutto delle tensioni commerciali tra Stati Uniti e Cina: l’economia coreana dipende in modo significativo dalle esportazioni ed è caratterizzata da un’elevata componente tecnologica, quindi è molto reattiva ai mutamenti di prospettive di andamento dell’economia globale. I mercati hanno cominciato a scommettere su uno o più tagli dei tassi da parte della Banca centrale già nel corso del 2019 per rispondere a questi mutamenti e il deciso ribasso del won coreano è un evidente indizio in questo senso.

E la Borsa coreana come ha reagito a queste notizie negative?

Il Kospi, l’indice di Borsa di Seul, è andato incontro a un forte ribasso nelle ultime sedute e ha completato con la violazione dei 2.207 punti il piccolo testa spalle ribassista disegnato dal top dell’11 aprile. Discese anche al di sotto di area 2.168 comporterebbero la violazione della trend line che sale dai minimi di inizio 2019 e della media esponenziale a 50 giorni segnalando di fatto il termine del tentativo di rimbalzo visto dai minimi di ottobre e gennaio, allineati in area 1.985. I massimi di aprile del Kospi sono sul 50% di ritracciamento del ribasso dai massimi dello scorso maggio, la violazione di area 2.168 potrebbe quindi anticipare una vera e propria ripresa del trend ribassista di medio periodo. Fino a che il 50%, e successivamente il 61,8%, di ritracciamento non viene superato un movimento viene infatti considerato una semplice correzione della tendenza precedente, che resta quindi attiva.

E’ un campanello d’allarme globale?

Le similitudini di comportamento tra il Kospi e gli altri indici di Borsa dei maggiori Paesi industrializzati sono evidenti, ecco perché alcuni commentatori hanno iniziato a parlare di “canarino nella miniera” riferendosi alle recenti flessioni della Borsa coreana.

Con i principali indici della Borsa Usa che stanno premendo contro i massimi storici dello scorso anno e con i risultati delle trimestrali americane che per l’80% hanno battuto le attese ha senso temere un’imminente fase di debolezza per le Borse?

Un altro indizio in questo senso viene dal Dollar index, indice che mostra l’andamento del dollaro statunitense nei confronti di altre 6 monete, con l’euro che ha un peso preoponderante. Il Dollar index ha messo a segno un rialzo molto significativo nelle ultime sedute, lasciandosi alle spalle la resistenza dei 98 punti, ostacolo già testato a novembre e dicembre del 2018 e a marzo del 2019 coincidente con il 61,8% di ritracciamento del ribasso dal top di gennaio 2017. Molto spesso al superamento di questa quota percentuale derivante dalla successione di Fibonacci corrisponde una vera e propria inversione di tendenza: grazie alla rottura dei 98 punti il rialzo in atto dai minimi di inizio 2018 assume i tratti di una vera e propria tendenza autonoma, destinata a durare, e perde quelli di una semplice correzione, di una fase temporanea.

Ma il dollaro forte è favorevole o meno alle Borse?

In questo momento il dollaro si avvantaggia sia per i meriti dell’economia Usa, sia per i demeriti delle altre principali economie, con le Banche centrali – da quella svedese a quelle giapponese e australiana, per non parlare della Bce e della People’s Bank of China – pronte a evitare che il rallentamento sperimentato in varie parti del mondo si trasformi in recessione. Il calo dei rendimenti dei Treasury Usa, e quindi il rialzo delle quotazioni, dimostra che in questo momento gli investitori gradiscono il debito americano e confluiscono verso il porto sicuro del dollaro.

Perché lo fanno?

Non si fidano delle alternative. Nel 2018 il rallentamento della crescita della Borsa, soprattutto americana, è stato contemporaneo con un deciso apprezzamento del dollaro e i mercati si erano convinti che la Fed avrebbe iniziato una prolungata fase di rialzo dei tassi, convinzione che ha portato al crollo degli indici negli ultimi mesi dell’anno.

Poi la Fed ha fatto retromarcia…

E infatti, dopo la riunione dello scorso dicembre, è seguita una fase di sostanziale stabilità del dollaro con una prodigiosa ripresa delle Borse. Ma proprio adesso che gli indici americani sono arrivati in concomitanza dei massimi storici, quindi con una resistenza graficamente e psicologicamente molto rilevante, il dollaro ha improvvisamente accelerato al rialzo.

Che cosa dobbiamo aspettarci?

L’impressione è che, se la rottura di area 98 da parte del Dollar index dovesse trovare conferma, anche nelle prossime sedute il rischio di un passo indietro da parte delle Borse potrebbe concretizzarsi.

(Marco Biscella)