L’America del presidente Trump ha da poco festeggiato, pur tra mille polemiche, l’Independence Day. E anche Wall Street ha festeggiato, pur tra non pochi screzi nel rapporto fra lo stesso Trump e la Federal Reserve, un primo semestre 2019 assai brillante. “I principali indici Usa – dice Alessandro Magagnoli, analista tecnico e co-fondatore di Financial Trend Analysis (Ftaonline) – in questi sei mesi hanno realizzato risultati assolutamente lusinghieri: +21% per il Nasdaq Composite, +14% per il Dow Jones Industrial e +17% per l’S&P 500, il maggior rialzo per il primo semestre dell’anno dal 1997″.



Come si spiega l’ottimo andamento degli indici americani?

E’ il risultato di una serie di fattori favorevoli: il mutamento di atteggiamento da parte della Fed nei confronti della politica monetaria, ora molto più morbido, almeno a parole, dopo le pressioni del presidente Trump in questa direzione; l’andamento dei colloqui tra Usa e Cina, che nonostante i numerosi stop and go dopo il G-20 di Osaka sembrano destinati a riprendere; infine, l’andamento tutto sommato soddisfacente dell’economia Usa.



Tutto va dunque a gonfie vele, la rotta è tracciata verso nuovi traguardi?

Calma. Nel primo trimestre 2019 il Pil Usa è cresciuto del 3,1% annualizzato, ma il secondo trimestre potrebbe non essere così buono: la Fed di Atlanta, stima del 1° luglio, ipotizza infatti un ritmo di crescita dell’1,5% annualizzato, in calo dal valore precedente di +1,9%.

Ma talvolta, in passato, le Borse hanno dimostrato di ignorare o sorvolare i problemi dell’economia reale. Perché non potrebbe succedere anche adesso?

Il problema è che ora i tre principali indici statunitensi stanno stazionando attorno ai loro massimi storici, con un mercato che sembra aver esaurito la spinta rialzista proprio in prossimità di queste importanti resistenze. La retta di regressione calcolata per i rendimenti annuali dell’S&P 500 per gli ultimi 90 anni circa indica come rendimento medio per la Borsa l’8,3% circa all’anno, mentre se si concentra l’attenzione sull’ultimo mezzo secolo si vede come solo in pochissime occasioni, l’ultima nel 2013, la performance annuale dell’S&P 500 abbia superato il 25%.



Quindi?

Il 17% attuale è più o meno a metà strada tra questi due valori.

Si intravedono scricchiolii?

Sì. L’Institute for Supply Management ha reso noto che nel mese di giugno l’indice ISM manifatturiero è sceso a 51,7 punti – valore più basso dall’ottobre 2016 e terzo mese successivo di calo dell’indice – dai 52,1 punti registrati a maggio. Il Census Bureau ha invece comunicato che la spesa in costruzioni edili a maggio ha fatto segnare una flessione dello 0,8% mese su mese, un dato nettamente peggiore del +0,1% atteso dagli analisti. E non è tutto.

Perché?

La Semiconductor Industry Association (SIA) ha comunicato che a maggio le vendite mondiali di semiconduttori sono risultate in calo del 14,6% su base annua a 33,1 miliardi di dollari, e il tonfo nella zona delle Americhe ha raggiunto il 27%. Quello di maggio è stato il quinto mese consecutivo di calo delle vendite su base annua.

Sta dicendo che la frenata del settore già si avverte a Wall Street?

L’indice dei semiconduttori, il Sox, è infatti attardato rispetto al Nasdaq Composite: mentre il primo ha ritracciato, quindi percorso a ritroso, con i recenti massimi di area 1.530 solo i tre quarti circa della discesa vista dal picco di aprile, il secondo si è portato nelle ultime sedute in prossimità dei record di aprile a 8.176 punti. Ma il Sox è solo uno degli indici che si dimostra in ritardo, evidenziando quindi delle pericolose divergenze di comportamento, rispetto ai riferimenti maggiori.

Ulteriori indizi preoccupanti?

Un altro segnale viene dallo studio del grafico di forza relativa, che mette in rapporto l’andamento del grafico del Nasdaq 100 con quello dell’S&P 500.

Che cosa mostra?

Essendo il Nasdaq 100 un paniere più ricco rispetto all’S&P 500 di titoli ad alto beta, quelli comunemente chiamati aggressivi, ovvero che tendono a rispondere con maggiore prontezza, nel bene e nel male, agli stimoli che vengono trasmessi ai mercati finanziari dalle notizie macro economiche e politiche, di norma il grafico di forza relativa che mette in rapporto la serie storica di questi due mercati tende a crescere, con il Nasdaq che sovraperforma l’S&P 500, durante i rialzi di Borsa e a flettere durante le fasi negative.

E nell’ultimo mese che cosa è successo?

La forza relativa è sì cresciuta, ma lo ha fatto in modo meno evidente rispetto all’indice Nasdaq, segno che il comparto della tecnologia, che di norma è la lepre seguita poi da tutti gli altri panieri, segna il passo. Certo, potrebbe trattarsi anche solo di un’incertezza temporanea, ma quanto detto riguardo al comparto dei semiconduttori accresce il timore che il Nasdaq sia con il fiato corto.

Oltre al Nasdaq, altri indici in affanno?

Emblematico è il comportamento del Russell 2000, il paniere che rappresenta i titoli a minore capitalizzazione della Borsa Usa. Dopo aver toccato un nuovo massimo storico lo scorso agosto a 1.742 punti ed essere sceso a fine dicembre a 1.267 circa, con il successivo rimbalzo non è riuscito a far meglio di 1.618 circa, limitandosi quindi a ripercorrere, come nel caso del Sox, solo i tre quarti della precedente discesa.
Senza il superamento di area 1.620/1.630 da parte del Russell 2000 il rimbalzo visto dai minimi dello scorso dicembre continuerà a essere catalogato come un rimbalzo, una fase di ripresa che non è però riuscita a invertire il trend negativo precedente, che resterebbe pertanto la tendenza dominante.

Di solito, però, in Borsa vale il proverbio “non fasciarsi la testa prima di averla rotta” e trasformare degli indizi, negativi come in questo caso, o positivi in operatività è molto rischioso. Non è meglio attendere segnali di conferma che qualcosa è davvero cambiato in peggio?

Gli indizi servono a far aumentare il livello d’allerta, in modo da non farsi cogliere impreparati da eventuali burrasche, ma l’operatività direzionale è quella che premia sempre.

Qual è il consiglio, allora?

Seguire la direzione del trend. Certo, il fatto che l’S&P 500, a maggio e a giugno e pure a inizio luglio, si sia portato oltre i record di ottobre 2018 senza riuscire ad accelerare, qualche perplessità la solleva: finché i prezzi saranno al di sopra della media esponenziale a 50 giorni, a 2.880 punti circa, si potrà continuare a sperare che questa accelerazione, a conferma della forza del mercato, arrivi.

Ma se ciò non dovesse accadere?

Allora tutti i pezzi del puzzle andrebbero a posto, e sarà a quel punto molto opportuno aprire il paracadute, perché il ribasso potrebbe non essere breve.

(Marco Biscella)