Gli investitori che provano a delineare una strategia con la quale gestire in questo momento i propri risparmi hanno non pochi grattacapi. Non bastano le fughe in avanti e le improvvise ritirate dell’amministrazione Usa nei confronti della Cina – negli ultimi giorni è stato addirittura ventilato il delisting di società cinesi da Wall Street, poi smentito dalla portavoce del Tesoro Usa, Monica Crowley, ma la smentita non cancella i timori di una vera e propria deflagrazione nucleare, visto che negli Usa sono infatti quotate 156 società cinesi con una capitalizzazione di mercato di circa 1.200 miliardi di dollari -, è anche intervenuta Fitch, che ha tagliato la stima sulla crescita globale dal 3,2% del 2018 al 2,6% del 2019 e al 2,5% del 2020, i valori più bassi dal 2012.



Fitch lo ha detto chiaramente, il deterioramento delle prospettive per l’economia globale dipende dall’escalation della guerra commerciale fra Stati Uniti e Cina.
L’agenzia di rating non fa altro che confermare quanto affermato di recente dall’Ocse, che ha ridotto le stime sull’espansione del Pil globale ai minimi degli ultimi dieci anni (+2,9% nel 2019 e +3% nel 2020), citando tra le cause del rallentamento, oltre alle tensioni commerciali, anche la Brexit.



In attesa che il 10 ottobre parta il nuovo round di trattative commerciali a Washington, che il 18 ottobre scattino i dazi per 7,5 miliardi, approvati dal Wto, sulle merci europee e che entro la fine di ottobre si sappia se e come la Gran Bretagna uscirà dall’Ue, c’è il rischio che la tattica negoziale di Trump – ormai chiara: far leva sia sulle promesse sia sulle minacce – destabilizzi ulteriormente i mercati.

Ma è così negativa, per l’investitore, questa possibilità? Infatti, mentre tutti si affannano a ridurre le stime di crescita per il futuro, Jp Morgan ha deciso di alzare il giudizio a “overweight” sull’azionario della Zona euro e ha tagliato a “neutral” quello sulle azioni di Wall Street.



Queste valutazioni sono opera di Mislav Matejka, responsabile della divisione di strategia sull’azionario globale ed europeo di Jp Morgan, che tra l’altro si sbilancia indicando anche l’Italia come uno degli elementi in favore di una buona performance delle azioni dell’Eurozona. Le banche Usa, grandi protagoniste della crescita della Borsa americana, potrebbero lasciare il testimone a quelle europee in termini di performance. Questo non vuol dire che il sistema bancario europeo sia esente da rischi, per esempio una Brexit senza accordo, ma in questo momento rappresenta comunque una buona opportunità tattica. In parte le banche sono attraenti anche perché, dopo essersi svalutate molto negli ultimi mesi come quotazione di mercato, hanno raggiunto un rapporto prezzo/utili conveniente.

Il ritorno dell’alleggerimento quantitativo della Bce a novembre (la stima flash di Eurostat mostra che a settembre il tasso di inflazione annuale è calato a 0,9% dopo l’1% di agosto, un valore basso che non impensierisce di certo la Banca centrale, lasciandole campo libero per interventi accomodanti) e l’adozione di politiche fiscali di stimolo in Germania, e magari anche in Italia, sono fra gli elementi che fanno sperare in una futura crescita del Pil della Zona euro.

Jp Morgan ritiene non solo che in generale i titoli hi-tech potrebbero continuare a sovraperformare il mercato, ma anche che proseguirà la rotazione già in atto tra titoli growth (quelli delle aziende più dinamiche, come appunto le hi-tech) e titoli value (con ritmo di crescita degli utili più lento ma più stabile), una rotazione che potrebbe favorire l’Europa, dove il mix delle azioni rispetto agli Usa è meno sbilanciato verso i titoli ad alta crescita degli utili.

Per ora, guardando i grafici del settoriale Eurostoxx Banche e dell’S&P 500 Banche (SP500-4010), l’unica evidenza resta l’estrema debolezza delle banche europee. Al 30 settembre la performance a un anno del comparto bancario dell’area euro è stata del -17% circa e del -0,85% circa per quello Usa. Nel caso del grafico Eurostoxx la media mobile esponenziale a 200 giorni, indicatore che cerca di descrivere in modo sintetico la condizione del trend di medio-lungo periodo, è ancora al di sopra dei prezzi (trend ribassista) e transita in area 91,30 (close al 30 settembre 87,70), mentre nel caso dell’S&P Banking la stessa media mobile è a 320 punti circa con le quotazioni a 335 circa (la media segnala, quindi, un trend rialzista).

Anche per il grafico del comparto banche Usa, tuttavia, non è tutto rose e fiori: i prezzi hanno tentato già per tre volte, a fine aprile, a fine luglio e a metà settembre, di lasciarsi alle spalle la resistenza dei 337 punti circa, dove si colloca il 78,6% di ritracciamento del ribasso subìto dal top di agosto 2018. Fino a che questo riferimento ricavato dalla successione di Fibonacci non sarà alle spalle, il rischio di dover considerare il rialzo disegnato dai minimi di dicembre 2018 solo una correzione della precedente discesa resterà elevato. I tre picchi allineati sulla stessa resistenza, del resto, fanno pensare a un potenziale “triplo massimo”, figura dalle implicazioni ribassiste. E’ vero che solo sotto area 320 emergerebbe il rischio di un test della base di questa figura, in area 295, e che solo con la violazione anche di quei livelli la figura verrebbe completata (implicando almeno il ritorno sui minimi di dicembre), ma fino a che i 337 punti non saranno alle spalle anche questa eventualità dovrà essere considerata.

Gli industriali hanno invece un andamento diverso, almeno in termini di performance. L’Eurostoxx Industrials (CH0003945299), i cui principali rappresentanti sono Siemens, Airbus, Vinci, Safran e Schneider Electric (ma il paniere contiene anche Atlantia, Cnh, Prysmian, Leonardo, Interpump e Nexi) nell’ultimo anno ha infatti guadagnato il 2% circa, mentre l’S&P Industrials ha ceduto il 3% circa.

Per quello che riguarda il comparto dell’industria Usa, l’Institute for Supply Management ha comunicato che a settembre l’indice ISM manifatturiero è sceso a 47,8 punti dai 49,1 di agosto, ben al di sotto delle attese degli analisti fissate a 50,4. L’indice si mantiene, quindi, per il secondo mese consecutivo (non accadeva da inizio 2016) sotto la soglia dei 50 punti, che delimita il confine tra espansione e contrazione del settore manifatturiero Usa. La manifattura rappresenta un ottavo circa dell’intero Pil statunitense, ma il suo rallentamento può contagiare in modo molto pericoloso i consumi, che sono invece il vero motore dell’economia americana.

Ma anche in Europa il rallentamento è evidente. Secondo gli studi pubblicati da Markit, peggiorano infatti a settembre le condizioni operative del settore manifatturiero dell’Eurozona. L’indice finale Markit PMI manifatturiero dai 47 punti di agosto è diminuito a settembre a 45,7, il livello più basso da ottobre 2012. Per fortuna il rallentamento dell’attività economica raffredda anche l’andamento dei prezzi e, come già detto, questo dovrebbe lasciare le mani libere alla Bce per procedere con la ripresa dell’alleggerimento quantitativo.

Il grafico dell’Eurostoxx Industrials evidenzia una forte resistenza in area 895/900, dove si collocano i massimi storici toccati a luglio. Il mancato superamento di quei livelli, nonostante il tentativo fatto a settembre, introduce un elemento di rischio: è infatti possibile che sull’indice si stia disegnando una fase di distribuzione preparatoria a una discesa consistente. Solo sotto i minimi di giugno e di agosto, allineati in area 801/807 il rischio del ritorno almeno sui minimi di dicembre a 719 circa diverrebbe molto concreto.

Il settoriale Industrials ha un andamento molto simile a quello dell’Eurostoxx 50: la violazione di area 801/807 sarebbe quindi anticipatoria a movimenti di forte ribasso anche per l’indice delle blue chip europee. Negli ultimi dieci anni circa la curva della forza relativa Industrials/Eurostoxx 50 è stata un ottimo anticipatore del sentiment di mercato: quando la curva sale, significa che il comparto degli industriali sovraperforma il mercato e questo accade di norma quando la Borsa nel suo complesso è positiva.

Recentemente sul grafico di forza relativa si è vista una brusca accelerazione al ribasso, al di sotto dei minimi di luglio, movimento che sembra anticipare un andamento simile anche per il settoriale. L’ipotesi ribassista per il mercato non solo resta quindi sul piatto, ma appare anche quella di più probabile realizzazione. Questo non vuol necessariamente dire che il suggerimento di Jp Morgan non sia da seguire, appare tuttavia prudente immaginare una strategia di attesa dove eventuali acquisti siano da rimandare alla fase successiva la probabile correzione al ribasso. La rottura dei 900 punti da parte del settoriale accenderebbe invece la luce verde per le strategie di acquisto, anche di medio termine.

Meno significativo, invece, l’andamento del grafico di forza relativa ottenuto mettendo in rapporto il settoriale S&P Industrials con l’S&P 500. Anche in questo caso, nelle fasi di forte tendenza al rialzo della Borsa nel suo complesso il comparto degli industriali sovraperforma l’S&P 500, ma il legame è meno stabile rispetto a quanto avviene nell’area euro. Se il settoriale dovesse scendere sotto i minimi di giugno, a 604 punti circa, il quadro grafico volgerebbe nettamente al ribasso, le oscillazioni viste dal top di aprile si dimostrerebbero infatti un “triplo massimo”, figura dalle implicazioni negative, e diverrebbe probabile il ritorno sui minimi di fine dicembre a 504 circa. Improbabile, in quel caso, una crescita dell’S&P 500.

Se il settoriale superasse, invece, dopo i tentativi a vuoto di luglio e di settembre, i massimi di aprile a 665 circa, la situazione si sbloccherebbe in favore di un’evoluzione positiva duratura, segnale del quale beneficerebbe sicuramente anche l’indice generale.