Come previsto il 16 dicembre la Federal Reserve ha confermato i tassi d’interesse Usa allo zero, o meglio i tassi con i quali le banche si scambiano tra loro le riserve che sono depositate presso la Fed (in un range compreso tra lo 0% e lo 0,25% dopo averli ridotti a sorpresa di 100 punti base in un meeting d’emergenza del Fomc il 15 marzo scorso e prima ancora di 50 punti base il 3 marzo), sottolineando che proseguirà con l’acquisto di asset per almeno 80 miliardi di dollari di Treasury e 40 miliardi di mortgage-backed security al mese, quindi per un totale di 120 miliardi di titoli al mese, fino a quando non sarà chiaro che l’economia sarà uscita dalla crisi indotta dal Covid-19.



I mercati avevano previsto correttamente il comportamento della Fed, ma forse sono rimasti delusi dalla mancanza di maggiori indicazioni su come la stessa Fed intende muoversi nei prossimi mesi. Questo non ha comunque impedito alle Borse di puntare ancora al rialzo e al Bitcoin di aggiornare i propri record superando i 20mila dollari.



Il chairman Jerome Powell, contrariamente a quanto sperato dai mercati, si è limitato a lasciare la porta aperta a possibili modifiche. “Continuiamo a pensare che la nostra attuale posizione politica sia appropriata”, ha spiegato, aggiungendo che la Fed ha “la flessibilità per fornire ulteriore allentamento. Riconosciamo che le circostanze potrebbero cambiare”, ha ammesso Powell.

Gran parte dei rappresentanti dell’istituto (si è passati a cinque membri del Fomc dai quattro del precedente meeting di novembre) ormai concorda sul fatto che i tassi rimarranno intorno allo zero fino al 2023. L’inflazione, del resto, rimane un problema lontano: su base mensile a novembre è stato registrato un incremento dello 0,2%, leggermente più alto dallo 0% della precedente rilevazione e del +0,1% atteso dagli analisti, comunque un tasso di crescita assolutamente sotto controllo. E su base annua, il dato dell’inflaione si è confermato all’1,2% con un consenso del +1,1%.



L’indice “core”, quello calcolato al netto delle componenti più volatili come cibo ed energia, ha segnato un +0,2% (stime a +0,1%).

La Fed ha dichiarato che manterrà il suo attuale ritmo di allentamento fino a quando “non saranno stati compiuti ulteriori progressi sostanziali verso gli obiettivi di massima occupazione e stabilità dei prezzi” del Federal Open Market Committee (Fomc, la commissione della Fed che si occupa di politiche monetarie).

Dichiarazioni che sono in linea con quelle rilasciate a inizio mese da Powell davanti alla commissione Financial Services dell’House of Representatives (la Camera Usa). In quell’occasione Powell aveva spiegato che l’istituto “manterrà i tassi bassi e gli strumenti in funzione fino a quando non ci sentiremo di avere superato chiaramente il pericolo che la pandemia rappresenta per l’economia”.

Lo stesso Powell continua a fare pressioni sul Congresso Usa per nuovi piani di stimolo e gli investitori si mostrano ottimisti sulla possibilità di un accordo in tal senso.

La Fed ha anche rivisto dal 3,7% al 2,4% la previsione di contrazione del Pil Usa nel 2020 e ha migliorato dal 7,6% al 6,7% il tasso di disoccupazione atteso per il 2020, mentre nel 2021 dovrebbe poi calare al 5% e riportarsi al 4,2% nel 2022, vicino ai valori precedenti la crisi del Covid. Per il 2021 e il 2022 si stima invece un’espansione dell’economia del 4,2% e del 3,2% rispettivamente, contro il 4% e il 3% dell’outlook comunicato in occasione del Fomc di settembre.

Tutti i dati macro di recente uscita puntano a un rallentamento dell’economia Usa, le rassicurazioni della banca centrale sono quindi servite per tranquillizzare i mercati permettendo alle Borse di rimanere impostate sul loro trend di crescita.

Il Dipartimento del Commercio ha reso noto che le vendite al dettaglio hanno evidenziato nel mese di novembre un calo dell’1,1%, superiore alle attese (-0,3% mese su mese) dopo una flessione dello 0,1% del mese precedente (rivisto da +0,3%). L’indice, escluso il comparto auto, è diminuito dello 0,9% dopo la flessione dello 0,1% della rilevazione precedente, rivista da +0,2% (consensus +0,1%).

Markit Economics ha reso noto che la stima flash dell’Indice Ihs Pmi Manifatturiero di dicembre si è attestato a 56,5 punti dai 56,7 punti di novembre, sul livello più basso da due mesi. Le attese erano per un indice pari a 55,7 punti. Rallenta anche il tasso di espansione del settore dei servizi, con l’indice Ihs Pmi Servizi sceso a 55,3 da 58,4 di novembre. L’indice composito è sceso a 55,7 punti da 58,6 punti, sui minimi da tre mesi.

L’Indice del mercato immobiliare Nahb (National Association of Home Builders) si è attestato a 86 punti nel mese di dicembre da 90 punti, risultando inferiore al consensus, fissato a 88 punti.

Il Census Bureau ha infine reso noto che le scorte di magazzino crescono dello 0,7% a ottobre, risultando pari alle attese, ma in rallentamento dal +0,8% della lettura precedente (rivisto da +0,7%).

Gli effetti delle comunicazioni della Fed, in particolare quelle relative ai tassi d’interesse, hanno influenzato il dollaro Usa, che si è ulteriormente indebolito contro euro: la politica ultra-espansiva della banca centrale continua a mettere in circolazione nuova moneta e l’aumento della quantità sul mercato ne causa il deprezzamento. In condizioni normali la debolezza del dollaro rischierebbe di accendere il motore dell’inflazione, ma per il momento, a causa della recessione globale, questo rischio non viene considerato reale e i dati citati in precedenza lo confermano.

Il dollar index, l’indice del dollaro contro le principali monete (dove il peso preponderante all’interno del paniere è quello dell’euro), rischia grosso: sul grafico di lungo periodo si sta disegnando un potenziale “doppio massimo”, figura che, se completata, comporterebbe una definitiva inversione di trend rispetto a quello rialzista in atto dai minimi del 2011. I prezzi si stanno avvicinando pericolosamente al minimo di febbraio 2018 a quota 88,25, base del “doppio massimo” coincidente con il 50% di ritracciamento del rialzo dai minimi del 2011.

La violazione decisa di quel supporto completerebbe la figura e aprirebbe la strada non solo al test del livello successivo al 50% nella scala dei ritracciamenti di Fibonacci, quello del 61,8%, posto a 84,65 circa, ma anche al test dei minimi di settembre 2012, a 78,60 circa, altro supporto critico in ottica di medio lungo periodo.

Per chi fosse abituato a ragionare in termini di euro/dollaro è possibile tradurre approssimativamente questi valori con una resistenza chiave a 1,2550 circa (38,2% di ritracciamento del ribasso dal massimo del 2008, percentuale di Fibonacci), oltre la quale i prezzi avrebbero spazio di salita almeno fino a 1,39/1,40 con target intermedio a 1,32 dollari per euro circa.

Per mettere a tacere i timori di uno scivolamento di lungo periodo il dollar index dovrebbe risalire al di sopra della trend line rialzista disegnata dai minimi del 2011 (e passante per quelli di maggio 2014), violata al ribasso a novembre 2020 e ora in transito a 92,50 circa.

Nel caso dell’euro/dollaro sarebbero discese al di sotto di area 1,1850 a mettere in discussione lo scenario rialzista, che si pone come primo target area 1,2550, prospettando invece il ritorno verso la media mobile esponenziale a 52 settimane passante a 1,1550 circa.

Anche il Bitcoin si avvantaggia della politica espansiva della Fed, come del resto fanno le Borse: ormai è chiaro da tempo che quello che fa bene alle Borse fa bene anche alla criptovaluta più famosa. Il Bitcoin attualmente staziona al di sopra dei 22.700 dollari circa, ma dove potrebbe approdare questo movimento di rialzo?

Secondo l’analisi grafica un target è ipotizzabile attorno ai 25.000 dollari, ottenuto con l’approccio delle onde di Elliott. Da quei livelli rischia di svilupparsi una correzione temporanea, ma l’obiettivo della fase iniziata a marzo potrebbe collocarsi sui 36.000 punti.