Ancora una volta il Nasdaq s’incarica di segnalare il cambio di paradigma della finanza mondiale. Dopo la straordinaria pioggia di capitali sull’economia del pianeta che ha consentito di sostenere l’impatto della pandemia senza che la caduta delle attività provocasse la recessione, il pianeta entra in una fase nuova: da una parte è sempre più probabile che si debba convivere con le varianti del contagio, numerose ma non letali, dall’altra la nuova priorità riguarda la lotta all’inflazione, conseguenza dello sforzo di questi anni, da abbinare a un impiego virtuoso dei capitali, condizione prima per garantire la crescita. 



Di qui una redistribuzione delle risorse a favore dei comparti in grado di garantire “valore” nel breve a danno delle avventure nel tech più ardito, quello che non garantisce profitti (spesso né ora, né mai). Un passaggio delicato e difficile, ancor più perché coincide con un passaggio geopolitico estremamente delicato: la pressione della Russia sull’Ucraina che potrebbe avere conseguenze enormi, se non incalcolabili. Il Nikkei Times, l’autorevole rivista giapponese che controlla il Financial Times, mette addirittura in relazione le sorti di Kiev con quelle di Taiwan.



Così come l’invasione della Crimea da parte di Putin, è il ragionamento, è stato l’antefatto che ha giustificato agli occhi di Pechino l’annessione di Hong Kong, così un’aggressione non punita all’Ucraina potrebbe giustificare, tempo un paio d’anni, lo sbarco cinese a Taiwan, l’isola dei microchip. Un’esagerazione? Forse, ma anche il segnale che nel mondo oggi gli avvenimenti sono segnati da un fil rouge spesso sottile ma resistente. Specie per quel che riguarda la tecnologia, sempre più decisiva per capire dove stiamo andando. Come sta dimostrando, tra l’altro, la corsa miracolosa dei vaccini frutto della tecnologia m-Rna di cui ben pochi conoscevano l’esistenza fino a un paio d’anni fa. 



È questo che fa del Nasdaq qualcosa di più e di diverso rispetto alle altre piazze finanziarie. Nel corso del 2021 le start up, quasi sempre in rosso, hanno raccolto 333 miliardi di dollari che, alla fine di un anno straordinario per il mercato, si erano tradotti in un valore di 774 miliardi di dollari. Una cifra enorme, pari a un terzo del Pil italiano, piovuti sul listino di Times Square per finanziare il futuro, che si trattasse di biotech, intelligenza artificiale, gig economy o chissà che altro, compresa la ricerca dell’immortalità o la corsa a popolare Marte come si ripromette Elon Musk con le tasche piene di criptovalute, magari per fare affari con gli alieni.

Il meccanismo, però, oggi sembra andato in tilt per colpa del rischio di rialzo dei tassi: non solo il prossimo +0,25% di marzo, ma quelli che verranno: da qui al 2024, sopra il livello neutrale del 2,5% fino a nuove vette, tra il 3% e il 4%. Di fronte a questo pericolo, il listino tecnologico ha lasciato sul terreno fino a giovedì sera il 13% circa dalla metà di novembre, il 12% circa coincise con il cambio di atteggiamento della Federal Reserve nei confronti del problema inflazione. Si tratta del peggior avvio d’anno dal 2008.

Ma la discesa dell’indice spiega solo in parte la portata della frana in parte oscurata dalla tenuta dei titoli più importanti (vedi Apple). Almeno 250 società con un fatturato superiore ai 10 miliardi di dollari distano ormai più del 20% dai massimi. E tra questi spicca il caso di Netflix (-20%) sotto la pressione di un minor appeal verso il mercato (“solo” 2,3 milioni di nuovi abbonati nei prossimi mesi) e dei maggiori costi per reggere la sfida con gli altri grandi del cinema a domicilio che stanno mettendo a rischio anche i numeri di Walt Disney.

Negli ultimi anni le battute d’arresto del Nasdaq si sono rivelate ottime occasioni d’acquisto. Ma stavolta potrebbe essere diverso: l’aumento del costo del denaro annunciato dalla Fed è di suo un buon argomento per rivedere i prezzi dei titoli che hanno goduto della stagione dei tassi bassi. Diversi fattori, dalla crisi della logistica all’aumento delle materie prime, contribuiscono a far pensare a un tasso di inflazione in crescita. Le tensioni geopolitiche consigliano di moderare l’appetito per il rischio.

Potremmo trovarci di fronte a un’inversione di tendenza ben più marcata, una di quelle che anticipano l’arrivo del mercato orso: dal 1971 a oggi, è stato così nel 37% dei casi. Ma i paralleli con il passato rischiano di essere riduttivi in un quadro così complesso sotto molti punti di vista. 

In sostanza, si ha la sensazione di una situazione complessa, che va assai al di là di un assestamento tecnico o di una crisi momentanea. Semmai sembra uno strappo che segna l’avvio di una fase di discontinuità, una frattura concentrata soprattutto sulla parte breve e media della curva del dollaro. Quando questo strappo sarà assorbito i tecnologici avranno una nuova fase di ripresa. L’importante è sopravvivere. Anzi, prima ancora, di concentrarsi sulla tecnologia che genera profitti che comunque dovrà fare i conti con le nuove regole che l’Europa (ma anche gli Usa) intendono imporre al Far West dell’economia digitale. 

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