Il dato sull’inflazione americana a settembre, uscito giovedì, avrebbe dovuto essere negativo per i mercati, e in effetti la primissima reazione è stata un forte ribasso. L’inflazione americana a settembre è stata più alta delle attese e ha raggiunto i massimi degli ultimi 40 anni; la maggioranza delle società, secondo i sondaggi pubblicati dalle principali banche d’affari, nei prossimi mesi si attendono ulteriori rialzi dei prezzi di vendita.



È possibile che alcuni settori dei beni di consumo nelle prossime settimane, quelli più discrezionali, debbano fare i conti con un vuoto di domanda per via della diminuzione del potere d’acquisto, ma lo scenario nel breve-medio periodo rimane ancora inflattivo. Invece il mercato ha rimbalzato e ci si chiede cosa sia successo perché le prospettive economiche, si veda per esempio il taglio della Banca d’Italia sulle stime del Pil, non sono migliorate.



Per trovare una spiegazione bisogna uscire dal quadro inflazione e rialzi e incorporare altri fattori che ieri hanno avuto un’emersione con l’inversione a U del Governo di Londra sul piano di taglio fiscali dopo le tensioni registrate sul mercato delle obbligazioni statali inglese. È possibile che a garantire la pace finanziaria fino all’elezioni di mid-term siano la Fed e le istituzioni alleate. La banca centrale americana, tradizionalmente, ha sempre cercato di evitare eccessivi ribassi o rialzi alla vigilia degli appuntamenti elettorali più importanti per non influenzare l’esito delle consultazioni. È quello che è successo, per esempio, nei mesi che hanno preceduto l’elezione di Trump quando un mercato con il fiatone è stato tenuto a galla per evitare di spianare la strada al candidato repubblicano mettendo in cattiva luce un pezzo da novanta dell’Amministrazione del Presidente in carica. Hillary Clinton alla fine ha perso, ma certamente non per colpa della Fed.



Settimana scorsa la polemica contro L’Opec+, rea di aver tagliato la produzione aggravando l’inflazione globale, è sembrata particolarmente aspra non solo per il taglio in quanto, tale ma anche per i tempi dell’intervento. Sarebbe bastata qualche settimana per evitare un incremento dei prezzi, come avvenuto nei giorni immediatamente successivi al taglio, e mettere al riparo il Presidente dall’imbarazzo di un rincaro dei “prezzi alla pompa”. Ieri per la cronaca i prezzi del petrolio sono sprofondati.

Non ci sarebbe nulla di scandaloso, ma se così fosse bisognerebbe smettere di usare gli indici finanziari più popolari dei mercati finanziari per misurare la febbre del sistema finanziario fino alle elezioni di mid-term; si tratta di aspettare fino all’8 novembre. In un certo senso non sarebbe nulla di nuovo rispetto a quello che abbiamo visto finora perché la regola degli ultimi mesi è stata quella di accumulare la polvere delle conseguenze economiche e finanziarie della guerra sotto il tappeto. È una soluzione che non può durare all’infinito, ma forse può durare altre quattro settimane.

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