Gli ultimi dati sul mercato del lavoro americano pubblicati ieri consegnano ancora un quadro positivo seppur con qualche rallentamento rispetto ai mesi precedenti. Il tasso di disoccupazione a marzo scende leggermente rispetto a quello di febbraio dal 3,6% al 3,5%; il numero di posti di lavoro creati si è attestato a 230mila a marzo contro i 300 mila di febbraio. La paga media oraria è ancora in aumento del 4,3% rispetto a marzo 2022. Sotto la superficie emergono segnali di rallentamento nel settore delle costruzioni e in quello immobiliare, ma il quadro generale rimane solido. Il numero di offerte di lavoro rispetto alla domanda rimane elevato.
In questo scenario è difficile immaginare che ci siano le basi per un cambio di politica monetaria nel breve periodo che pure negli ultimi giorni sembra essere stato scontato con il rialzo dell’oro o dei settori più sensibili ai tassi. L’inflazione potrebbe diminuire ma rimanere comunque sostenuta e spinta sia da un Pil che rimane in rialzo sia da un mercato del lavoro in salute. Il quadro, da questo punto di vista, sarà completo settimana prossima con la pubblicazione, mercoledì 12, del dato sull’inflazione di marzo.
Gli investitori tentano di calibrare le tempistiche del rallentamento economico, della diminuzione dell’inflazione e del peggioramento del mercato del lavoro per capire per quanto la Fed potrà ancora alzare i tassi e quando arriverà l’inversione. Per ora la durata del ciclo è una sorpresa; le scommesse sul rallentamento economico partite lo scorso autunno sono stata posticipate e ancora oggi sembrano premature. C’è un secondo dibattito sul rallentamento futuro in cui si confrontano la tesi di un atterraggio violento dell’economia e quella di una discesa controllata. Nel primo caso si sottolinea il livello dei tassi raggiunto e l’erosione del potere d’acquisto di una parte dei consumatori che potrebbero far virare rapidamente il ciclo. Nel secondo si sottolineano gli effetti della ristrutturazione delle catene di fornitura con l’apertura di nuove fabbriche e l’effetto delle uscite dal mercato del lavoro del 2020 e 2021 che oggi si pagano con un’offerta di lavoro minore della domanda.
Dal punto di vista finanziario la preoccupazione principale è la difesa dei capitali e dei risparmi dall’erosione imposta dall’inflazione. I rendimenti delle obbligazioni non sembrano una protezione a meno di ipotizzare un crollo dell’inflazione. Anche in questo caso si assume una risposta pronta delle banche centrali; gli strumenti messi in pista dopo la crisi delle banche regionali americane confermano questa convinzione. Questo quadro rende attraente qualsiasi settore possa offrire questa protezione a prescindere, in un certo senso, dal rischio.
Gli investitori tentano di anticipare le mosse delle banche centrali assumendo che, in qualche modo, torneranno a stampare. Il mercato vive di questi calcoli. Nelle ultime settimane ha scommesso su un’inversione delle politiche monetarie in risposta a un rallentamento del mercato del lavoro e dell’inflazione. Nel primo caso, seppur in peggioramento, il mercato rimane invece in salute nel secondo occorre aspettare meno di una settimana.
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