Quantitative easing (Qe), Pandemic Emergency Purchase Programme (Pepp), acquisto e riacquisto titoli di Stato, garanzie, Bce, rating, e moltissimo altro ancora. Talvolta è obbligatorio, non necessario, rallentare e fermarsi. Chi ha maturato esperienza in ambito finanziario, non solo in veste di professionista ma anche, e soprattutto, in qualità di investitore, avrà avuto modo di poter apprendere il seguente assioma: ogni mercato al ribasso è un’opportunità di acquisto (perché successivamente risalirà), pariteticamente anche ogni mercato al rialzo è vantaggioso perché sinonimo di “un sistema” che crede in un roseo futuro. Prescindendo dalla direzione in essere, il rialzo o il ribasso sono sempre e solo un’opportunità: win-win.
Queste considerazioni che, di fatto, rappresentano motivazioni a sostegno dell’operatività, sono e saranno sempre oggetto di dibattito. Unico fattore a poterne decretare il vero e proprio fondamento è il tempo. Talvolta, non perseguendo i propri obiettivi personali nei termini prefissati, si cade nella trappola del procrastinare la decisione di intervento: non si ha il coraggio di “chiudere” un’operazione se in perdita (stop loss) oppure, nel migliore dei casi, non si vuole sconfiggere l’avidità nel voler capitalizzare il profitto conseguito (take profit). E così via attraverso innumerevoli bias cognitivi (irrisolti) contemplati dalla finanza comportamentale.
L’occasione di questi nostri appuntamenti periodici ha lo scopo di poter in-formare il lettore e, come già accaduto, grazie a un approccio oggettivo perché legato ai “soli numeri”, si sono dimostrate alcune realtà che, a molti, non appaiono – ancora – evidenti. Sul finire del 2019 avevamo presentato un confronto sulle principali strategie di investimento e, sempre con numeri alla mano, le risultanze emerse dal parallelismo tra mercato azionario e quello obbligazionario erano prive di fraintendimento. Oggi, in piena crisi economica, è molto facile cadere in falsi segnali e prioritaria è l’attenzione a evitare quest’ultimi.
Le principali istituzioni finanziarie internazionali (Bce e Fed su tutte) hanno garantito il loro supporto mediante strumenti non convenzionali: la liquidità è e sarà presente. Pertanto, ne consegue, sembra opportuno volgere spontaneamente lo sguardo al mercato obbligazionario.
Come in precedenza è necessario partire da un mero confronto tra “universo investibile”. Al nostro consueto benchmark internazionale JPM GBI Gl. Usd viene affiancato l’andamento di altri due sottostanti rappresentativi di asset class obbligazionarie: il Bloomberg Barclays Global-Aggregate Total Return Index Value Unhedged USD (componente investment grade debt) e il Bloomberg Barclays Multiverse Total Return Index Value Unhedged USD (componente investment grade and high yield bonds).
Nonostante l’ovvia correlazione tra le variazioni percentuali, la comparazione per singolo anno dei tre indici, vede primeggiare il JPM GBI Gl. Usd. Estendendo l’analisi, e ipotizzando un investimento per l’intero arco temporale, si possono invece riscontare risultati diversi.
L’iniziale importo (base 100) al 31 dicembre 1999 vede una crescita maggiore se impiegato nel Bloomberg Barclays Multiverse Total Return Index Value Unhedged USD (252,414 – YTD 2020); a seguire, praticamente all’unisono, le performance del JPM GBI Gl. Usd (246,856 – YTD 2020) e del Bloomberg Barclays Global-Aggregate Total Return Index Value Unhedged USD (246,460 – YTD 2020).
Anche soffermando l’attenzione al solo periodo compreso tra la fine del 2006 (31 dicembre) – ovvero prima della crisi economica – e i giorni d’oggi, il ranking tra i tre indici rimane immutato ma ovviamente diversa l’entità: 163,476, 163,16 e 161,172.
In estrema sintesi, l’investimento obbligazionario prescindendo dal sottostante impiegato, registra comunque una significativa plusvalenza in termini assoluti nell’intero arco temporale (1999/2019). Approfondendo ulteriormente l’insieme dei dati, la sola performance attribution evidenzia – nel migliore dei casi (rif. Bloomberg Barclays Multiverse Total Return Index Value Unhedged USD) – sedici anni caratterizzati da un saldo positivo finale mentre, nei restanti quattro negativi, il peggior risultato ammonta ad un “modesto” -3,79%.
Sulla base di questi “soli numeri” sono molti gli interrogativi (es.: la diversificazione con la quota azionaria?). Noi, volutamente, ci fermiamo qui.
Prescindendo che il “fattore rischio” è presente in ogni strumento finanziario, l’ottimo risultato riconducibile al mercato obbligazionario viene spesso sottovalutato e sovente viene preferita l’argomentazione sulla consueta ottica di “lungo periodo”. In merito a quest’ultimo (fondamentale) aspetto – condividiamo – le recenti parole di Ignazio Visco, Governatore della Banca d’Italia, nel suo intervento su “Le prospettive e le necessità di riforma dell’economia italiana”: «Due settimane fa, nelle Considerazioni finali che accompagnano la Relazione annuale della Banca d’Italia, ricordavo le parole pronunciate da Keynes 80 anni fa, quando suggeriva possibili modi di affrontare, sul piano economico, le difficoltà di una grande guerra. In sostanza il pensiero di Keynes era che la migliore strategia per il breve termine è quella di mettere a punto un buon piano per il medio-lungo periodo». Sempre lo stesso Governatore Visco ha però continuato il proprio discorso concludendo con: «Lo stesso Keynes che a chi suggeriva di aspettare il naturale operare delle forze di mercato rispondeva che “nel lungo periodo saremo tutti morti”» ovvero il più sicuro, e certo, dei risultati.