Una luce calda, solare, si irradia dall’alto verso il basso lungo una strada all’interno di un parcheggio. Poche le auto. Un cittadino cammina. Un altro, invece, percorre il proprio tragitto utilizzando una bicicletta. In lontananza, a fare da sfondo, un imponente edificio bianco. Nella sua interezza una rappresentazione simile sposa a pieno l’attuale stagionalità. Un tramonto estivo. Uno scorcio luminoso che attesta la fine di una giornata. Probabilmente soleggiata e, ora, prossima alla sera. Ebbene, se ai nostri giorni la comunicazione è diventata tutto, allora, quello che è stato immortalato e pubblicato nella homepage di un importante sito internet internazionale avrà certamente un suo significato. Non troppo celato.



Un tramonto quale sinonimo di una fine ormai giunta. Un parcheggio quale momento di stallo. Pochi autoveicoli in sosta quale segno di fermata. Un unico passante in veste di lento movimento ancor più se contrapposto al suo competitor che, invece, beneficiando del suo mezzo green cerca di velocizzare il tempo che lo separa dalla destinazione. In lontananza il grande agglomerato bianco: non una nuvola, bensì il Campidoglio degli Stati Uniti. L’autore di tutto questo: l’agenzia di rating statunitense Fitch che, a corollario di questa panoramica, si annovera il merito senza alcuna modestia: “Fitch Downgrades the United States’ Long-Term Ratings to ‘AA+’ from ‘AAA’; Outlook Stable“.



Quello che abbiamo finora rappresentato è quello che si poteva riscontrare ieri attraverso la consultazione dell’homepage sul sito della nota agenzia di rating Fitch. Il cosiddetto downgrade a carico degli Usa ha sicuramente caratterizzato le ore successive e, come ovvio, i mercati finanziari internazionali hanno accusato il colpo. Nonostante la marginalità delle perdite finora registrate, il fatto rimane. Un fatto che ai ben informati non appare insensato, ma, anzi, non è altro che la degna conclusione di un iniziale percorso dettata da una scarsa fiducia nei confronti del grande Paese a stelle e strisce. La tenuta della prestigiosa “tripla A” vacillava da qualche tempo e, già lo scorso maggio, la stessa agenzia di rating si era palesata mediante un preliminare “Rating Watch Negative“.



Prescindendo dalle motivazioni che trovano una loro più diretta collocazione sull’intera gestione del bilancio, la negoziazione sul debito e i vari annessi e connessi, comunque, le giustificazioni a questa scelta sembrano essere state alquanto «arbitrarie» (parole delle segretaria al Tesoro Janet Yellen) e, andando oltre, pressoché fuori contesto. Ragionevolmente, rispetto a maggio, le condizioni economiche del Paese America non hanno registrato grosse ripercussioni: “beneficiando” del rialzo dei tassi di interesse i consumi hanno rallentato contribuendo alla discesa dell’inflazione e, in ambito esclusivamente finanziario, i mercati azionari hanno verosimilmente festeggiato aggiornando i loro stessi precedenti massimi.

Rimane, purtroppo, l’onta che caratterizza (in negativo) le quotazioni del versante obbligazionario governativo che, penalizzato in queste ultime giornate, torna sotto la parità rispetto alla fine dello scorso anno.

Un downgrade agli Stati Uniti: chi l’avrebbe mai pensato. Non capita spesso, infatti, il medesimo “affronto” risale ad oltre dieci anni fa, era il 2011, e l’accusatore veniva impersonificato dalla rivale Standard & Poor’s. Stessa decisione, ma tempi diversi. Tempi, quest’ultimi che, guardando al sempre vivo e presente “mercato”, fanno pensare ai cosiddetti “ben informati”.

La realtà odierna non può escludere un “non sapere” su una così rara, impensabile notizia. Un sentore negativo sulle prospettive dell’intero comparto bond governativo era giunto qualche settimana fa. In tale occasione avevamo volutamente rimandato: «Vorremmo anche evitare se sinonimo di potenziali perdite. Di queste ultime, oggi, volutamente non ne vogliamo parlare. Lo faremo, comunque, molto presto» con un rimando collegato a questa nostra conclusione che riportava ad un approfondimento in ambito MOVE o cosiddetto “Vix del mercato obbligazionario”. Nessuna dietrologia sia chiaro, ma, osservando la recente dinamica degli scambi si poteva notare un anomalo andamento rispetto ai minimi (104,43 punti) registrati a giugno con un livello che passava da quota 110 ad oltre 134 nell’arco di una sola giornata: era il 6 luglio.

Nelle giornate seguenti il ritorno alla “normalità” (area 104,88) vedeva un approdo solo sul finire del mese. Ieri, ancora indomito, lo stesso MOVE segna 116,38 punti. Un caso?

Non possiamo e potremmo mai sapere. Di fatto, però, “il mercato” ha prezzato un rischio in tempi non sospetti per, poi, ripresentare il conto in queste ultime ore. Complessivamente, guardando alla serie storica del MOVE, i valori attuali sono ancora notevolmente elevati rispetto alla loro più tradizionale media nonostante il quadro di politica monetaria statunitense sia più chiaro rispetto a qualche mese fa.

Gli interrogativi, pertanto, rimangono e sono molti. L’unica certezza, oggi, è quella che abbiamo potuto ammirare in questa calda estate. Un tramonto, anzi, il tramonto. Quello scorcio poetico che, in finanza, non avrà mai un seguito.

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